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Lo sviluppo sostenibile passa dalla bioeconomia


“Con questo appuntamento dedicato alla sostenibilità vogliamo concentrare l’attenzione sul tema della bioeconomia in grado di interconnettere le attività economiche che utilizzano risorse biologiche rinnovabili della terra e del mare per produrre nuove risorse importanti come, ad esempio, cibo, materiali ed energia. L’approccio bioeconomico promuove, dunque, un’industrializzazione intelligente mettendo al centro del suo modello la natura. Per noi del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese la frontiera della sostenibilità non è mai stata secondaria all’attività economica. Siamo convinti che dedicare del tempo e delle risorse su questo tema sia necessario per essere imprenditori al passo con le sfide di oggi. La sostenibilità non è più una scelta ma una via da percorrere per forza. Da qui il nostro costante impegno ad organizzare momenti di confronto su queste tematiche”. È così che Martina GiorgettiPresidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, ha introdotto il sesto incontro del ciclo “Le frontiere della sostenibilità”: una serie di appuntamenti organizzati dal Movimento insieme all’Area Innovazione e Qualità della territoriale di Confindustria, con lo scopo di accompagnare le imprese in un percorso verso una manifattura sempre più green. 

Lo scenario e i trend futuri della bioeconomia, ma anche in generale sostenibilità e circolarità come driver di rinnovamento dell’industria e di creazione di interconnessioni tra settori diversi. Questi i temi al centro dell’attenzione di questo sesto appuntamento dedicato proprio alla “Bioeconomia: i nuovi strumenti scientifici utili per uno sviluppo sostenibile e circolare”.

A parlare di bioeconomia come risorsa per il futuro in molteplici settori, anche molto differenti fra loro, Mario Bonaccorso, Direttore di Cluster Spring: il Cluster italiano della bioeconomia circolare che rappresenta gli stakeholder di questo meta-settore composto da diverse filiere, da quella alimentare, agricola e di acquacoltura, ad esempio, fino a quella chimica. Senza tralasciare tutte quelle realtà industriali in cui le innovazioni di bioeconomia vengono applicate. “Siamo tutti i giorni testimoni di cambiamenti che vanno affrontati dal punto di vista della ricerca, dell’innovazione e dell’industria – ha sottolineato il Direttore Mario Bonaccorso –. Tra le sfide, quella dell’aumento di emissioni di CO2 e l’innalzamento delle temperature. Ma non solo. Entro il 2050, secondo le previsioni dell’ONU, la popolazione arriverà a toccare i 10 miliardi, ma aumenterà anche la crescita dei redditi medi, sia in Occidente sia in Oriente. Un fenomeno, questo, che porterà ad un innalzamento dei consumi e ad una pressione sulle risorse del nostro Pianeta. Secondo la FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, sempre entro il 2050, la domanda di cibo crescerà del 60%. Cresceranno di conseguenza anche i rifiuti e aumenterà la difficoltà a gestirli”. È qui che si inserisce l’importanza della bioeconomia: un approccio che vuole disaccoppiare la crescita economica dall’utilizzo e dallo spreco delle risorse naturali. “Si possono invertire questi trend cambiando il nostro modello di sviluppo economico – ha aggiunto il Direttore Bonaccorso –. Degli esempi possono essere il riutilizzo dei rifiuti organici della città o dei fanghi industriali. La bioeconomia è quindi un meta settore su cui si basa la possibilità per l’Italia di essere sostenibile dal punto di vista ambientale e innovativa dal punto di vista industriale senza che un aspetto si scontri con l’altro”.

Sono intervenuti, invece, sul tema della bioeconomia sotto l’aspetto scientifico, i professori del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze per la Vita dell’Università dell’Insubria, Loredano Pollegioni e Gianluca Tettamanti. “La scienza abbinata alla creatività permette di non fermarsi a riciclare dei composti ma di produrne di nuovi che siano in qualche modo utili per fronteggiare le sfide dell’umanità – ha spiegato il professore Loredano Pollegioni –. A questo scopo abbiamo sviluppato ProPla, un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, in cui l’obiettivo è degradare la plastica utilizzando dei microrganismi per produrre aminoacidi, ovvero proteine e potenzialmente food”.

Tra le innovazioni messe in campo dalla ricerca dell’Insubria, altri tre progetti con scopi differenti ma accomunati dallo stesso punto di partenza: gli insetti. “Circa un terzo della produzione agroalimentare viene sprecato a vari livelli, dal produttore al consumatore – ha spiegato il professore Gianluca Tettamanti -. I rifiuti del comparto alimentare generano un problema sia sotto il profilo economico, sia sociale, sia ambientale. Si tratta di un fenomeno destinato a crescere: per il 2050 la stima è quella di una triplicazione dei numeri. Ecco dove si inserisce l’utilità degli insetti che sono in grado di crescere su materiali in decomposizione, come sottoprodotti ortofrutticoli ma anche scarti da industria del vino, della birra e del caffè. Dalla lavorazione delle larve si può rispondere a due necessità. Da un lato, quella di ridurre il quantitativo di rifiuto, dall’altra, produrre delle materie prime bio-based che possono avere diverso impiego, ad esempio, nel settore dei mangimi per animale”.

È da qui che sono nati i tre progetti dell’Insubria. Il primo: InBioProfeed, il progetto che, partendo dallo scarto del mercato ortofrutticolo di Milano, ha come scopo quello di produrre delle larve per creare mangime per la trota iridea. Il secondo: Rich, per sviluppare una filiera alternativa per la riduzione della Forsu, la frazione organica del rifiuto solido urbano. Lo scopo è duplice: da un lato, ridurre la Forsu, dall’altro, produrre dei biomateriali con valore tecnologico ed economico. Il terzo progetto, invece, si chiama Nice-Pet: in questo le larve vengono utilizzate come bioreattore per la riduzione di rifiuti a base di PET, il polietilene tereftalato (resina termoplastica della famiglia dei poliesteri). Anche qui, da un lato, viene ridotto lo scarto, dall’altro, vengono prodotte larve che non possono essere utilizzate in questo caso per i mangimi ma possono diventare comunque fonte di materie prime, come proteine, lipidi, chitine per dare origine a loro volta a nuovi biomateriali.

A portare una testimonianza aziendale, è intervenuto Gabriele Costa, Global Product Manager Bio Resins & Additives Surface Treatment Division di Lamberti SpA: “In azienda puntiamo molto sull’innovazione non solo applicata al polimero ma a tutti i segmenti della produzione. Per questo, per accelerare lo sviluppo di prodotti più sostenibili sono nati all’interno dell’impresa dei gruppi multidisciplinari con lo scopo di avere nuove idee volte alla riduzione del carbonio fossile e dell’impatto delle risorse. Ad esempio, per il settore packaging abbiamo sviluppato dei polimeri derivanti da scarti del settore agroalimentare in grado di avere delle performance di resistenza al grasso e all’acqua. Allo stesso modo, abbiamo sviluppato dei materiali alternativi, nell’ambito tessile, per sostituire la pelle, così come nell’interior coating, per avere dei polimeri con un contenuto di materiale biobased in grado di garantire buone performance meccaniche e di ridurre il quantitativo di carbonio. Spesso ci si concentra solo sulle esigenze dei clienti mentre con questi gruppi di lavoro ci si influenza a vicenda e si sviluppano nuove sinergie all’interno della filiera e con i vari cluster utili per andare incontro e anticipare il cliente”.

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