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ARGOMENTI

Cassazione penale: sentenze luglio 2019


Cassazione Penale, Sez. 4, 18 luglio 2019, n. 31863 - Infortunio in quota con l'utilizzo di un carrello elevatore. Responsabilità dei preposti per omessa sorveglianza sulle attività

Fatto:
Durante lo svolgimento di lavori in quota per installare cartelli di segnalazione, EB.F., dipendente dell’azienda M., era salito sul carrello elevatore guidato da un collega e, perdendo l’equilibrio, precipitava provocandosi gravi lesioni alla testa.

Sono stati ritenuti responsabili dell’accaduto A.A., preposto e responsabile progetti dell’azienda e P.F., preposto e responsabile produzione. Ad entrambi è contestato il reato di lesioni colpose derivante dalla mancanza di sorveglianza sullo svolgimento dell'attività lavorativa.

Gli imputati propongono ricorso per Cassazione ritenendo che la Corte aveva travisamento la posizione di garanzia rivestita dai ricorrenti. Questi, proprio per la loro qualifica di preposto, erano tenuti a sorvegliare sulla corretta modalità di esecuzione dei lavori, “solo nei confronti di coloro rispetto ai quali siano stati investiti di poteri di sovraordinazione” e non indistintamente verso tutti i lavoratori. Poiché l’infortunato era adibito principalmente al reparto produttivo, il cui responsabile era L.L., e saltuariamente era impegnato in piccoli lavori di manutenzione sotto la guida del signor P., è logico ritenere che fossero questi i soggetti garanti della sicurezza di EB.F.  Inoltre, gli imputati evidenziano come la condotta dell’infortunato debba ritenersi abnorme ed imprevedibile essendo stato regolarmente informato e formato sulla condotta da tenere durante lo svolgimento dei lavori in quota, sul corretto utilizzo della cesta del carrello elevatore e sul divieto assoluto di farsi sollevare con essa.

Commento:
La Corte rigetta i corsi ritenendo sia A.A che P.F. titolari di una posizione di garanzia in materia di sicurezza nei confronti dei lavoratori e questo è desumibile non solo da prove documentali e attestati formali, ma soprattutto da circostanze di fatto. Ovvero, la qualifica di preposto è riconosciuta in capo ai soggetti che concretamente svolgono tale funzione “accollandosi e svolgendo di fatto i poteri relativi all’incarico”. I due ricorrenti, impartendo indicazioni sui lavori da svolgere e sulle relative modalità e tempistiche da rispettare, svolgevano inequivocabilmente la funzione di preposti, posizione dalla quale deriva il compito di supervisionare sulla corretta esecuzione dei lavori nel rispetto delle norme antinfortunistiche.

Per quel che attiene la condotta del lavoratore la Corte respinge la tesi secondo cui si tratti di comportamento abnorme ed imprevedibile, poiché si tratta di rischi legati alle attività e alle mansioni che EB.F. era chiamato a svolgere sulla base di direttive impartire. Tali rischi dovevano essere ipotizzati e previsti e di conseguenza scongiurati con la corretta applicazione delle misure di sicurezza necessarie.  La condotta del lavoratore può essere motivo di esclusione della responsabilità dei titolari di posizione di garanzia solamente se risulta essere eccezionale ed abnorme, ovvero imprevedibile ed esorbitante rispetto al procedimento di lavoro e alle direttive ricevute. Ma non è questo il caso.

Pertanto, la Corte rigetta i ricorsi e conferma la condanna in capo ai preposti per lesioni gravi personali nei confronti di EB.F.

Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2019, n. 32507 - Infortunio mortale dell'operatore ecologico che tenta di aggrapparsi al camion in movimento. Nessuna responsabilità del datore se non è a conoscenza della prassi elusiva

Fatto:
Durante la raccolta dei sacchi S.C., operatore ecologico, moriva a seguito di una caduta dal camion per la raccolta.  Il lavoratore, dopo la raccolta, non risaliva nella cabina del mezzo, ma appoggiandosi ad una staffa e aggrappandosi alla portiera, restava appeso fuori dal mezzo in movimento, cadendo.

È stata ritenuta responsabile la signora R.A. in qualità di legale rappresentante dell’azienda E. presso cui il malcapitato era dipendente, per non aver adottato e sorvegliato sul rispetto delle misure antinfortunistiche necessarie.

Ricorre per Cassazione la signora sostenendo che S.C. era un lavoratore con più di 10 anni di esperienza, regolarmente formato ed informato sui rischi della lavorazione e più volte ripreso anche dal caposquadra per le sue condotte imprudenti, quali quella di aggrapparsi ai veicoli in movimento. Lo stesso DVR prevedeva misure specifiche per scongiurare la caduta dai mezzi in movimento. Non è corretto ritenere che vi fossero lacune nella predisposizione di sistemi antinfortunistici o nella sorveglianza o formazione dei lavoratori. La ricorrente, inoltre, contesta la sua posizione di legale rappresentante dell’impresa, informando la Corte di essere una semplice impiegata, come si può dedurre dalle buste paga e dalla visura societaria, e di essersi prestata come prestanome a favore di V.V., reale figura in posizione apicale.  
Commento:
La Corte parte dal presupposto che il comportamento di S.C. sia da considerare sconsiderato ed imprudente, in quanto era lavoratore esperto e regolarmente formato ed informato sul corretto comportamento da tenere durante lo svolgimento delle proprie mansioni.  
In merito alla condotta di S.C. ha premesso che occorre analizzare la questione da due punti di vista:

1.Se vi è interruzione del nesso causale tra l’evento e la responsabilità del datore di lavoro.
Qualora la condotta dell’operatore venga giudicata abnorme ed eccezionali non sarebbe possibile delineare una responsabilità in capo al datore di lavoro, poiché il lavoratore si sarebbe comportato in un modo assolutamente imprevedibile e non ipotizzabile. Il responsabile della salute e sicurezza dei lavoratori è tenuto a prevedere, analizzare e prevenire tutti i rischi legati al lavoro, anche quelli dettati da condotte imprudenti e negligenti dei lavoratori.

In questo caso il rischio di caduta dal veicolo in movimento è da configurare come un rischio prevedibile da parte del datore di lavoro, seppure dettato da libera ed autonoma iniziativa del lavoratore. È infatti plausibile pensare che un operatore non si attenga alle disposizioni che lo obbligano a rientrare nella cabina del mezzo, ma che decida, in modo sconsiderato ed imprudente, di appendersi all’esterno del mezzo rischiando di scivolare o cadere.
La Corte ritiene che il rischio sia strettamente legato ai compiti affidati a S.C. e dunque era ipotizzabile e non abnorme ed eccezionale. Per tale motivo la condotta del lavoratore, seppur disattenta, non può interrompere il nesso causale e delinea una responsabilità peer il datore di lavoro

2. Se è ravvisabile o meno un profilo di colpa da parte del datore di lavoro.
Per rispondere a questo interrogativo è necessario chiedersi se l’accertata violazione delle norme antinfortunistiche è stata la causa dell'evento. Cioè, se il lavoratore avesse agito con la prudenza e l’attenzione richiesta l’incidente mortale si sarebbe verificato comunque?

Partendo dal fatto che l’operatore era persona esperta, regolarmente formata ed informata sui rischi e che questi erano riconoscibili e palesi da chiunque, e non solo a personale qualificato, fa ritenere che S.C. fosse conscio del rischio. Perché si delinei una responsabilità penale non è sufficiente che la sua superficialità ed imprudenza abbiano aggravato il rischio, ma devono essere una sine qua non del verificarsi dell’incidente.

Dopo attenta analisi la Corte ha stabilito che, a prescindere dalle possibili ulteriori misure di sicurezza che il datore avrebbe potuto imporre, l’incidente si sarebbe verificato lo stesso perché S.C. è stato mosso da ragioni del tutto estranee alla problematica della sicurezza. Dunque, non può ravvisarsi un profilo di colpa in capo al datore di lavoro.

Infine, considerando che i lavoratori avevano regolarmente partecipato a corsi di formazione ed erano stati non solo informati, ma anche corretti e ripresi in caso di comportamenti scorretti e rischiosi, che i capo squadra erano stati istruiti al fine di intervenire in caso avessero osservato condotte non in linea con le indicazioni dell’azienda e che il DVR conteneva l’analisi e la valutazione di ogni rischio, tra cui quello di caduta dal veicolo in movimento, la Corte non ha giudicato la ricorrente negligente sotto il punto di vista della sorveglianza. Il datore di lavoro non avrebbe potuto intervenire in modo differente da come ha agito e pertanto non è a lui addebitabile una culpa in vigilando

La Corte annulla la sentenza impugnata in quanto il fatto non costituisce reato.

Cassazione Penale, Sez. 3, 03 luglio 2019, n. 29068 - Responsabilità del capo condominio in qualità di committente per l'infortunio mortale del dipendente dell'impresa affidataria

Fatto:
Durante i lavori di rifacimento della facciata di un condominio, S.S., lavoratore dell’impresa a cui erano stati appaltati i lavori, precipitava dal ponteggio e moriva.

E’ stato ritenuto committente e responsabile dell’accaduto M.L. in qualità di capo condominio in cui si stavano effettuando i lavori. A lui è stato contestato di non aver accertato l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice (culpa in eligendo) e di non aver vigilato sulla predisposizione e sul rispetto delle misure antinfortunistiche (culpa in vigilando).
Ricorre per Cassazione M.L. ritenendo inesistente la stipula del contratto con cui veniva affidata l’esecuzione dei lavori all’impresa. Questa, a suo dire, aveva agito autonomamente, senza ricevere alcun incarico e senza che venisse autorizzato il montaggio del ponteggio da cui era precipitato S.S.
Secondo la Corte d’Appello, invece, M.L. era perfettamente a conoscenza dell’avvio dei lavori, tanto che aveva avuto modo di vedere il ponteggio montato proprio poche ore prima dell’incidente. A questo il ricorrente obietta che, dalla semplice presenza di un ponteggio nei pressi del condominio, non poteva certo dedurre l’avvio dei lavori. Ribadendo il mancato perfezionamento del contratto di appalto, M.L. ritiene non vi sia alcuna responsabilità circa l’accaduto e chiede l'annullamento della sentenza.
Commento:
La Corte ha rigettato il ricorso ritenendo esistente e perfezionato il contratto di affidamento dei lavori all’impresa appaltata e per tale motivo M.L. è a tutti gli effetti il committente dei lavori. Da tale ruolo discende l’obbligo di verificare che l’impresa sia in possesso di tutti i requisiti tecnico professionali per lo svolgimento delle opere, e di controllare e vigilare sul corretto svolgimento e sul rispetto delle norme antinfortunistiche. Si è sottolineato come la forma scritta non sia elemento fondamentale per la conclusione di un contratto di appalto, e che è inverosimile che M.L. fosse all’oscuro dell’inizio dei lavori, tanto che aveva avuto modo di vedere di persona il ponteggio montato.

Dunque, il ricorso deve essere respinto.

Cassazione Penale, Sez. 4, 11 luglio 2019, n. 30489 - Operaio travolto dal cedimento franoso. Responsabilità del RSPP per inidonea formazione

Fatto:
La Corte di Appello ha confermato la condanna nei confronti di C.G., responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per aver cagionato, in cooperazione con altri soggetti, la morte del lavoratore M.B., travolto da un cedimento franoso, durante i lavori di scavo per la posa di tubazioni. A lui è imputato di non aver svolto la regolare formazione ai lavoratori, in particolare di essersi limitato a 4 ore di formazione riguardanti i rischi generici, senza informarli e formarli circa il rischio eventuale di seppellimento, nonostante fosse un rischio legato alle attività di scavo cui erano addetti.

Ricorre per Cassazione C.G., sostenendo che spettava ad altri soggetti proseguire con i compiti di formazione e che lui era un collaboratore esterno, senza potere di spesa o decisionali. Inoltre, non è corretto ritenere che vi fossero lacune in materia di formazione, perché il rischio da seppellimento era del tutto eccezionale e raro rispetto all’attività che dovevano svolgere gli operatori.  

Commento:
La Corte ritiene infondati i motivi del ricorso sottolineando come tra i compiti del RSPP vi è quello di assicurarsi che i lavoratori siano stati adeguatamente formati ed informati circa i rischi connessi all'attività lavorative e le misure di protezione e prevenzione adottate.

A nulla rileva la sua mancanza di potere decisionale o di spesa, poiché a lui è richiesto di verificare e vigilare sulle situazioni potenzialmente pericolose per la salute e sicurezza dei lavoratori e di dare tempestiva notizia al datore di lavoro delle carenze riscontrate in materia. Il riconoscimento, poi, di responsabilità in capo ad altri soggetti titolari di potere di formazione, non esonera il RSPP dai suoi compiti, in quanto è una figura ausiliare che affianca, senza sostituire, il datore di lavoro. Dal suo incarico deriva l'obbligo di individuare e segnalare i rischi connessi all'attività lavorativa.

Il fatto, infine, che il rischio da seppellimento fosse, secondo il ricorrente, marginale ed eccezionale, la Corte afferma che la valutazione dei rischi e la relativa formazione non può essere limitata ai rischi ordinari, ma deve comprendere ogni tipologia, anche quelli eccezionali.

Per tali ragioni i motivi del ricorso devono essere respinti in quanto infondati. Resta invece valido il motivo del ricorso che chiede il riconoscimento di attenuanti circa la collaborazione con il datore di lavoro nella redazione del piano di sicurezza. La Corte di Cassazione rinvia alla Corte d’Appello per meglio approfondire tale punto, rigettando invece gli ulteriori motivi del ricorso.

 

Cassazione Penale, Sez. 4, 08 luglio 2019, n. 29545 - Infortunio con una macchina asolatrice. Omessa valutazione e indelegabilità

Fatto:
Nell’azienda P., durante il posizionamento del materiale sul piano di una asolatrice, F.G., lavoratore dipendente addetto alla conduzione della macchina, si feriva alla mano che era entrata in contatto con l'utensile da taglio in rotazione.

È ritenuto responsabile per condotta colposa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e violazione delle norme di prevenzione antinfortunistiche, l’amministratore unico P.A.

A lui è recriminato di aver consentito la lavorazione su un macchinario non conforme alle norme di sicurezza, sprovvisto di libretto d’uso e senza marcatura CE. Il vano da cui veniva introdotto il materiale per la lavorazione era troppo largo e consentiva un contatto accidentale tra la mano e l’utensile tagliente in movimento. È stata poi accertata la totale mancanza di opere di manutenzione al macchinario e l’inesistenza di idonee misure di prevenzione che riducessero la possibilità del contatto.

Ricorre per Cassazione P.A. ritenendo che la delega in materia di sicurezza che aveva conferito al preposto P.R. lo metteva al riparo da ogni responsabilità per l’accaduto.

Commento:

La Corte rigetta il ricorso perché infondato. Da accertamenti è risultato che il macchinario era assolutamente non conforme agli standard di sicurezza minimi. Sprovvisto di ripari necessari per evitare il contatto tra l’operatore e le lame rotanti in funzione, di barriere per la segregazione della zona di taglio e del manuale d’uso da cui poter desumere la corretta condotta da mantenere durante la lavorazione. Inoltre, i lavoratori non erano stati sufficientemente formati ed informati sui rischi specifici del macchinario e sulle sue complesse caratteristiche. Di questi avvenimenti non può essere escluso da responsabilità P.A. Infatti, se è pur vero che il datore di lavoro aveva previsto una delega in materia di sicurezza al preposto, è altrettanto corretto ricordare che vi sono compiti non delegabili, tra i cui la redazione del DVR, la relativa analisi e valutazione dei rischi connessi alla lavorazione e la predisposizione delle misure di sicurezza. P.A., quindi, non poteva spogliarsi della sua responsabilità in materia di sicurezza, neppure attraverso il conferimento di una delega.

In conclusione, il ricorso è rigettato perché infondato