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ARGOMENTI

Cassazione penale: sentenze giugno 2019


Cassazione Penale, Sez. 4, 05 giugno 2019, n. 24926 - Infortunio durante la manovra di sistemazione di un carico di reti sul camion

Fatto:
L.G., lavoratore con il compito di autista dell’azienda A., si era recato presso l’azienda V. per prendere in consegna un carico di reti elettrosaldate. Durante il carico della merce il lavoratore chiedeva aiuto a K., carrellista dell’azienda V., il quale, durante le manovre e senza accorgersi, urtava e schiacciava L.G. procurandogli gravi lesioni.
Sono stati ritenuti responsabili dell’accaduto F.F., delegato alla sicurezza della ditta V., e G.F., datore di lavoro della società A. Ad entrambi è contestata la mancata coordinazione tra le imprese per lo svolgimento dei lavori e in particolare ad F.F. di non aver fornito all’azienda V. le informazioni riguardanti i rischi specifici dell'ambiente di lavoro e di non aver vigilato sull’adozione delle misure di prevenzione al fine di ridurre i rischi da interferenza.
Contro tale giudizio ricorrono per Cassazione G.F. e F.F.
Il primo sostenendo che l'autista per contratto non era tenuto a partecipare alle operazioni di carico, e che il suo compito era quello di sorvegliare il corretto svolgimento delle attività. L.G. aveva autonomamente deciso di svolgere mansioni non autorizzate, esorbitanti ed eccentriche e questo è motivo di interruzione del nesso causale. Tale comportamento non era prevedibile dal datore di lavoro.
Inoltre, G.F. contesta che a nulla rileva la mancanza di informazioni e di coordinamento tra le imprese proprio perché non ci sarebbe dovuto essere alcun tipo di collaborazione tra i due lavoratori, in quanto l’autista non era autorizzato a prendere parte all’attività di carico. Non si tratta, quindi, di un difetto di coordinamento da parte delle aziende, ma di un comportamento anomalo dell’infortunato.
F.F., partendo dall’assunto che che l'attività di carico non era di competenza dell’autista, afferma che l’azienda V. aveva adottato tutte le misure di prevenzione per scongiurare il fatto, tanto che erano stati affissi cartelli per avvisare della presenza di carrelli elevatori nell’area e che vietavano agli autisti di allontanarsi dal proprio mezzo. Inoltre, tutti i muletti erano dotati di segnali acustici per indicare la loro presenza e il personale alla guida era stata regolarmente formata ed addestrata sul corretto comportamento da tenere.

Commento:

La Corte ha rigettato entrambi i ricorsi ritenendoli infondati.
In primis perché la condotta del lavoratore, nonostante fosse imprudente, non può essere considerata imprevedibile ed essere motivo di esonero per il datore di lavoro dalla responsabilità per l’accaduto. Quest’ultimo è tenuto a predisporre misure che eliminano ogni rischio inerente al lavoro svolto, sia di tipo naturale, accidentale o umano. Secondo la Corte le misure antinfortunistiche devono scongiurare anche i rischi derivanti da condotte imprudenti dei lavoratori perché, pur essendo improbabili, sono comunque prevedibili. Nella redazione del DUVRI devono essere considerate sia le lavorazioni e le operazioni che si svolgono contestualmente in una area, sia quelle successive. Il datore di lavoro non avrebbe dovuto solamente analizzare e valutare tutti i rischi presenti, ma considerare anche quelli potenziali e assicurarsi che le misure predisposte fossero rispettate.
In questo caso, invece, i lavoratori avevano instaurato una prassi differente e pericolosa, senza che vi fosse un intervento correttivo da parte del datore di lavoro. Le misure adottate dall’azienda, dunque, non sono state sufficienti a scongiurare comportamenti e prassi imprudenti.
Pertanto, entrambi i ricorsi sono dichiarati inammissibili.

Cassazione Penale, Sez. 4, 05 giugno 2019, n. 24917 - Infortunio con un rotolo di nastro di ottone: rete di protezione inadeguata

Fatto:
Durante la movimentazione di un rotolo di nastro di ottone con un sollevatore, questo precipitava e colpiva la rete di protezione che lo separava dal lavoratore ai comandi del sollevatore. L’urto violento spostava la rete metallica di protezione che sbatteva contro la tempia di F.A., provocandogli un trauma cranico.
Si è appurato che il lavoratore, pur trovandosi all’interno della cabina di comando, non era stato protetto in modo adeguato durante le fasi di movimentazione e trasporto dei rotoli e di questo è stato giudicato responsabile il datore di lavoro.
Propone ricorso per Cassazione il datore di lavoro sostenendo che la rete protettiva era adeguata e sufficiente a proteggere F.A. dagli urti e dalla caduta del nastro, ma che la causa dell'infortunio era imputabile ad una scorretta manovra dell’operatore e alle caratteristiche tecniche particolari del nastro, che differiva da altri in precedenza movimentati allo stesso modo.

Commento:

La Corte ha rigettato il ricorso sostenendo che il datore di lavoro, pur avendo valutato il rischio di caduta e predisposto misure di protezione, non aveva adottato soluzioni sufficienti e adeguate. Il fatto che fosse stata installata una griglia protettiva indica che la caduta dei rotoli è un rischio tipico e possibile della lavorazione, e dunque il datore di lavoro avrebbe dovuto predisporre una protezione sufficientemente resistente che evitasse, e non solo riducesse, l’urto. Pertanto, la misura predisposta è inefficace e non soddisfacente, e di questo ne è responsabile il datore di lavoro, garante della sicurezza e salute dei lavoratori.  
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del datore di lavoro per lesioni colpose.

Cassazione Penale, Sez. 4, 12 giugno 2019, n. 25836 - Operaio schiacciato dal rullo compattatore. Responsabili il presidente del cda, l'amministratore delegato, il preposto e il coordinatore

Fatto:
Per la realizzazione di opere di fognatura il comune di Montano Lucino aveva affidato i lavori alla società S., la quale li aveva subappaltati all’impresa edile R. s.r.l.
I lavori erano svolti su una strada, per l’occorrenza chiusa al transito, costeggiata da una ripida scarpata. Durante le opere di copertura degli scavi con un rullo compattatore guidato da G.S.A., lavoratore dipendente dell’impresa R., il terreno vicino al ciglio della scarpata cedeva sbalzando il lavoratore fuori dal mezzo che gli cadeva addosso schiacciandolo.
Oltre al datore di lavoro e presidente del consiglio di amministrazione dell’impresa R., sono stati ritenuti responsabili per omicidio colposo in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro anche:
1.R.A., amministratore delegato dell'impresa edile di cui la vittima era dipendente per:
  • non aver valutato tutti i rischi specifici relativi ai lavori di rullatura;
  • non aver predisposto misure di protezione adeguate;
  • non aver predisposto la manutenzione del macchinario al fine di garantirne i requisiti di sicurezza;
  •  non aver vigilato sull'osservanza, da parte del lavoratore, delle norme in materia di sicurezza e sull'utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e collettivi.
2. B.M., coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori, per non aver verificato l'idoneità dei piani di sicurezza delle imprese esecutrici dei lavori, in particolare al rischio per i lavori in prossimità di una scarpata.
3. C.M., preposto della R., per non aver vigilato che il lavoratore osservasse le misure in materia di sicurezza e utilizzasse i dispositivi di protezione, in particolare la cintura di sicurezza, e per non aver segnalato al datore di lavoro o al dirigente le carenze dell’attrezzatura.

Ricorrono per Cassazione:
1. R.A, sostenendo di non avere alcuna posizione di garanzia in materia antinfortunistica poiché non si era mai occupato del cantiere.
2. B.M., sottolineando come in primo grado il Tribunale aveva dichiarato attenta e soddisfacente la sua analisi dei rischi, anche per il ribaltamento dei mezzi. Nella sua valutazione il coordinatore aveva specificato che doveva essere vietato il transito con mezzi meccanici sul ciglio degli scavi proprio per evitarne il cedimento.
B.M. lamenta che la Corte d'appello ha contraddetto quanto osservato dal Tribunale e ha ritenuto insufficiente e quasi inesistente l’analisi del rischio fatta. Il ricorrente ha dunque precisato che nel piano operativo erano espressamente indicate le modalità con le quali eseguire le opere e che, prima dell’inizio dei lavori, le aveva nuovamente esposte verbalmente a C.M., preposto dell’impresa R.
Inoltre, B.M. sottolinea che l’incidente è derivato da diverse decisioni poco prudenti prese al datore di lavoro, come la scelta di incaricare per l'esecuzione dei lavori G.S.A., lavoratore poco esperto e non del tutto formato, e l’aver affidato il compito di preposto ad una persona con gravi lacune nella lingua italiana. Entrambe le scelte, decisive per il verificarsi del fatto, spettavano al datore di lavoro e non possono essere imputate alla sua persona.
3. C.M. ritenendo decisiva la volontà del lavoratore di non attenersi alle norme che prevedevano l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza, in particolar modo le cinture di sicurezza. Il mezzo era infatti conforme ai parametri di sicurezza, e il lavoratore era a conoscenza dell’obbligo di adozione dei DPI. L’arbitraria decisione del lavoratore deve essere considerata come condotta abnorme ed eccezionale.

Commento:

La Corte rigetta tutti i ricorsi in quanto:
1.R.A., proprio per il suo incarico di amministratore delegato, è titolare di una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza.
“Gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo delega validamente conferita”
. Ovvero, in assenza di una regolare delega in materia di sicurezza, R.A. è co-titolare con il datore di lavoro dei poteri decisionali e di spesa dell'azienda e dell’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e di individuare le relative misure di protezione e prevenzione da adottare. La sua responsabilità, dunque, discende dalla sua posizione e non può essere esclusa per il sol fatto che non si sia interessato al cantiere in questione.
2. B.M. , pur avendo regolarmente previsto ed analizzato nel POS i possibili rischi derivanti dalla lavorazione, tra cui il ribaltamento del mezzo, non aveva dato precise indicazioni sulle modalità operative per fronteggiare tale pericolo. Al tecnico non è contestato di aver redatto un documento poco accurato, ma di non aver dato chiare indicazioni su come eliminare o ridurre i rischi e di non aver vigilato sulla corretta osservanza, da parte delle imprese e dei lavoratori, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.
Il suo compito, infatti, prevedeva una verifica e supervisione dell’applicazione delle procedure di lavoro in materia di sicurezza.
Inoltre, “né le violazioni degli altri imputati, né il comportamento del lavoratore possono essere motivo di esonero di responsabilità”. Sia il datore di lavoro sia gli altri titolari di una posizione di garanzia in materia di sicurezza, come B.M., sono tenuti a valutare e scongiurare ogni rischio prevedibile e governabile, anche quelli dipesi da una condotta negligente, imprudente o da imperizia del lavoratore. Il comportamento inaspettato di S.G.A. non può essere considerato imprevedibile perché legato alla mansione che era stato incaricato di svolgere. A nulla rileva la sua imprudenza.
3. C.M. , in qualità di preposto, era tenuto ad istruire e a vigilare sul comportamento dei lavoratori e sul rispetto delle norme antinfortunistiche.
Essendo il  "preposto la persona che sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori” era a lui affidato il compito di controllare che il lavoratore indossasse regolarmente le cinture di sicurezza. Al preposto spettano obblighi in materia di sicurezza, la cui inosservanza comporta una responsabilità diretta.
Per tali ragioni la Corte rigetta tutti i ricorsi ritenendoli infondati.

Cassazione Penale, Sez. 4, 18 giugno 2019, n. 26882 - Amputazione di quattro dita della mano di un operaio durante un intervento sul macchinario bloccato. Responsabilità dei componenti del Consiglio di Amministrazione

Fatto:
Nell’azienda I. srl era presente una macchina piegatrice di lamiere munita di sistemi di fotocellule per il bloccaggio. Il macchinario era segregato e se si fossero aperte le porte del cancello il macchinario si arrestava immediatamente.
Durante un fermo macchina R.A., preposto dell’azienda, e B.M., lavoratore esperto che da dieci anni lavorava presso la I. srl, decidevano di intervenire autonomamente senza contattare la ditta a cui erano affidati gli interventi di manutenzione in caso di blocco. I due, eludendo i sistemi di sicurezza che bloccavano il macchinario, erano entrati nella zona di lavoro e tentavano di sbloccare la macchina. Durante tali manovre il macchinario, liberato dall’inceppamento, entrava in funzione e tranciava di netto quattro dita a B.M.
Il Tribunale aveva ritenuto responsabile dell’accaduto il preposto R.A. in quanto non aveva contattato l'assistenza tecnica per il guasto del macchinario, ma aveva deciso di intervenire impropriamente e in modo autonomo bypassando i sistemi di sicurezza. Il preposto e B.M. erano a conoscenza della corretta condotta da seguire in questi casi ed erano stati entrambi formati ed informati sulle procedure. A loro, dunque, era contestata una condotta gravemente negligente.
Il Tribunale aveva invece assolto i vertici della società perchè all’oscuro della prassi scorretta di intervenire sui fermi macchine in modo indipendente senza l’ausilio del centro assistenza.
La Corte di Appello aveva riformato la sentenza di primo grado, attribuendo la responsabilità anche a G.A, datore di lavoro, e a I.A. e I.AL. in qualità di membri del Consiglio di Amministrazione perchè, in assenza di esplicite deleghe di funzioni, i componenti del Consiglio di Amministrazione rispondono delle carenze in materia di salute e sicurezza.  I due lavoratori avevano ammesso che era prassi consolidata, in caso di guasti, intervenire autonomamente per cercare di risolvere i problemi e che contattavano l’assistenza solo quando non erano in grado di riavviare il macchinario. La Corte di merito ha dunque ritenuto che la prassi scorretta era stata incoraggiata e che di ciò fossero responsabili il datore di lavoro e i membri del consiglio.
Ricorrono per Cassazione i tre imputati sostenendo che il comportamento abnorme del lavoratore deve essere motivo di esclusione della loro responsabilità. Infatti, sia R.A. che l’infortunato M.B. erano stati regolarmente formati ed istruiti sulle corrette condotte da tenere, ed era loro noto che in caso di guasto avrebbero dovuto contattare il centro assistenza per un intervento. Inoltre, la loro sicurezza era stata garantita adottando sistemi di protezione che, in caso di avvicinamento all’area, bloccavano il macchinario. La segregazione della macchina era nota ed evidente a tutti i lavoratori. In nessun modo i tre imputati erano a conoscenza o potevano supporre che si fosse instaurata una prassi differente. Lo stesso preposto, che per incarico era tenuto a sorvegliare e vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche, non aveva riferito nulla ai superiori, ma aveva avvallato una condotta del tutto scorretta e pericolosa. Non è dunque possibile ritenere che il datore di lavoro e i membri del consiglio di amministrazione avessero avuto notizia di questi comportamenti.
La Corte, analizzato il fatto, dichiara che la sentenza è annullata poichè il reato è estinto per intervenuta prescrizione.


Cassazione Penale, Sez. 4, 19 giugno 2019, n. 27186 - Omessa valutazione del rischio, seppur raro, insito nelle operazioni di rimozione del materiale plastico dall'estrusore di una pressa ad iniezione. Responsabilità del datore di lavoro e del RSPP

Fatto:
Durante la rimozione di un grumo di materiale plastico formatosi nell'estrusore di una pressa ad iniezione, P.D., operaio addetto allo stampaggio, veniva investito da un getto di materiale plastico ad elevata temperatura che gli procurava gravissime ferite ed ustioni al viso e alla mano.
Poiché il macchinario era rimasto spento nelle 16 ore precedenti all’incidente senza essere stato accuratamente pulito da residui di materiale, si è convenuto che l’esplosione era stata causata dell'occlusione dei fori con il materiale residuo.
Sono stati ritenuti responsabili dell’accaduto G.D., presidente del Consiglio di amministrazione della società e B.DV., in qualità di RSPP, per condotta colposa imprudente, negligente e per imperizia. Ad entrambi è contestata l'inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’omessa valutazione dei rischi e la mancata individuazione delle misure di prevenzione e protezione da attuare per svolgere l’attività. Al RSPP è contestata la mancata segnalazione circa la pericolosità della situazione e la necessità di predisporre misure di sicurezza specifiche.
Propongono ricorso per Cassazione i due imputati sostenendo che giornalmente i lavoratori eseguivano la pulizia del macchinario dal materiale residuo che tappava i fori e che l’operazione si era sempre dimostrata priva di criticità o problemi esecutivi. Il perito che aveva analizzato il macchinario dopo l’incidente aveva manifestato tutto il suo stupore e dichiarato che l’evento era tutto eccezione. Il fatto, proprio per la sua rarità ed eccezionalità, non poteva essere previsto, e per tale ragione non era necessario predisporre ulteriori misure di sicurezza e procedure oltre a quelle già predisposte. Nessuna colpa, dunque, deve essere addebitata ai due soggetti, i quali hanno valutato e fronteggiato ogni rischio della lavorazione a loro noto e conoscibile.

Commento:

La Corte rigetta il ricorso poiché l’evento non è considerabile straordinario o eccezionale, ma solo raro e improbabile e pertanto doveva essere valutato al pari di altri rischi più tipici e frequenti.
La straordinarietà e rarità di un evento non significa che questo non sia possibile. Poiché il datore di lavoro è chiamato a proteggere i propri dipendenti da ogni rischio è chiaro che tra questi ricadono anche quelli rari ed inaspettati. “Un evento è definito 'raro', perchè 'non ignoto'. Dunque, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto e concretamente valutabile. L'evento raro, infatti, non è impossibile.”
Partendo dal presupposto che “il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica” appare ovvio che non è sufficiente basarsi sulla propria esperienza, ma questa deve essere integrata con l'evoluzione della scienza tecnica e con le casistiche verificabili nell'ambito della lavorazione.
Per tale ragione la Corte rigetta i ricorsi e ritiene responsabili i due imputati per non aver valutato il rischio e non aver predisposto misure antinfortunistiche che scongiurassero il suo verificarsi.