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ARGOMENTI

Cassazione penale: sentenze febbraio 2019


Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2019, n. 5006 - Caduta di un fusto contenente carburo di calcio e deflagrazione. Omissioni in materia di sicurezza

Fatto:

Alcuni fusti contenenti carburo di calcio, sostanza esplosiva altamente infiammabile, erano stati spostati con l’ausilio del carrello elevatore. A causa dell’instabilità del muletto, non conforme ai parametri di legge, i fusti precipitavano e rovesciavano la sostanza che esplodeva e feriva gravemente due operai.

La Corte di Appello ha ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose e di violazione di disposizioni in materia di infortuni P.M., legale rappresentante dell’azienda.

Fin da subito erano emerse la mancanza della valutazione dei rischi e grosse carenze in materia di salute e sicurezza a danno dei lavoratori. Questi, infatti, non erano stati adeguatamente formati ed informati sui rischi relativi alla lavorazione svolta e non erano stati dotati dei dispositivi di protezione individuali (DPI) necessari. Inoltre, è stata accertata la non conformità del carrello alle norme antinfortunistiche obbligatorie per legge. Infine, il capannone in cui si era verificato l’incidente era, al momento dei fatti, inaccessibile in quanto sotto sequestro cautelativo perché inidoneo al passaggio in sicurezza di qualsiasi mezzo o persona. La causa determinante dell’incidenti è stata attribuita unicamente all’instabilità strutturale del mezzo e all’irregolarità del pavimento del capannone.

Ricorre per Cassazione il legale rappresentante, sostenendo che i due lavoratori coinvolti erano soggetti esperti con un alto grado di professionalità e da molti anni erano addetti a quella mansione.

Commento:

La Corte respinge il ricorso, in quanto le lacune in materia di salute e sicurezza sono talmente gravi che non è possibile non riconoscere la responsabilità del datore di lavoro, garante della salute e sicurezza dei suoi dipendenti. Oltre alle critiche condizioni in cui si trovavano il magazzino e il carrello elevatore, gravissima è la mancanza di informazione ai lavoratori sulle proprietà infiammabili e nocive della sostanza che maneggiavano. La carenza di formazione e l’assenza di misure di prevenzione, aggravate dalla totale mancanza di DPI a disposizione dei lavoratori, rendono incontestabile la responsabilità del datore di lavoro. La Corte ammette che l’utilizzo dei DPI non avrebbe evitato, se non in parte, le gravi ustioni e i danni che i lavoratori hanno riportato nell’esplosione.

Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2019, n. 5030 - Lavoratore dipendente della ditta appaltatrice investito mortalmente da una pala gommata. Circolazione scoordinata

Fatto:

S.B., dipendente dell’azienda appaltatrice S., mentre si trovava presso l’azienda committente I.C.  s.r.l., veniva investito da una pala gommata caterpillar, condotta da S.M., dipendente della E.M.I., seconda azienda appaltatrice di I.C.. Il mezzo, condotto a velocità sostenuta e con la visuale limitata dalla benna sollevata, schiacciava ed uccideva il lavoratore travolto.

Venivano ritenuti responsabili dell’accaduto:

1.G.C., direttore dello stabilimento I.C., su cui pendono compiti di organizzazione e vigilanza del lavoro, anche in assenza di deleghe formali

2.B.G., titolare di deleghe formali sulla sicurezza, cui viene contestato di non hanno fatto tutto ciò che era necessario per impedire l'evento

3.A.B., amministratore dell’azienda appaltatrice E.M.I. che aveva fornito il mezzo con cui era avvenuto il sinistro, in quanto non è intervenuto presso la committente per garantire che il lavoro si svolgesse in condizioni di assoluta sicurezza

Propongono ricorso per Cassazione:

1.G.C., ritenendo di non avere alcuna posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza, in quanto le sue mansioni di direttore di stabilimento si erano sempre limitate agli aspetti produttivi e gestionali e mai avevano riguardato aspetti di sicurezza. L’imputato ritiene che, non avendo mai avuto compiti specifici in materia di prevenzione e protezione, non sia possibile configurare nei suoi confronti un profilo di colpa omissiva e di responsabilità. Inoltre, essendo la pala meccanica conforme alle normative vigente ed essendo il punto in cui è avvenuto l’incedente conforme al passaggio in sicurezza di mezzi e persone in contemporanea (ciò emerso anche da perizia di parte), non è possibile ravvisare nella sua condotta alcuna responsabilità. Secondo G.C. la Corte avrebbe sottovalutato la condotta imprudente di S.M., che conduceva il mezzo a velocità non consentita e con la benna alzata.

2.B.G., sostenendo che, pur essendo titolare di una regolare e formale delega in materia di salute e sicurezza, tale documento sarebbe del tutto inefficace, in quanto nel concreto non gli sono mai stati attribuiti poteri effettivi e la possibilità di gestire la sicurezza. Secondo B.G., dunque, la delega era un mero atto formale privo di effettivo valore.

3.A.B., adducendo che la società E.M.I., di cui è titolare, svolgeva un ruolo di mera fornitura dei macchinari e della mano d'opera e che i lavoratori erano inseriti nell'organizzazione aziendale della società I.C.. Tale rapporto di mera somministrazione di mano d’opera configura “una situazione idonea a privarlo della sua posizione di garanzia” riguardo agli aspetti di sicurezza. Inoltre, l’imputato sottolinea che la condotta del tutto imprudente di S.C., che guidava ad velocità elevata con la visuale ostruita, costituisce un comportamento anomalo e non prevedibile dal datore di lavoro. Il lavoratore, dunque, non si era attenuto alle norme di prudenza per la conduzione del mezzo. Tale comportamento è in contrasto con le procedure impartite dal datore di lavoro e con il documento di valutazione rischi. Questa anomala condotta è da considerare esorbitante e non prevedibile dal datore, tanto da escludere il nesso di causalità e dunque la responsabilità di A.B.

Commento:

La Corte respinge:

1.il ricorso di C.G. ritenendo che, pur essendosi occupato negli anni di aspetti prettamente organizzativi del lavoro senza esser stato mai formalmente incaricato dei compiti sula sicurezza, non consente di escludere la sua responsabilità, in quanto la sua posizione di garante della salute dei lavoratori deriva dal suo incarico di direttore dello stabilimento. A prescindere dai poteri assegnati a C.G. tramite delega, egli è responsabile della salute e sicurezza dei lavoratori, al pari del datore di lavoro, proprio in relazione alla sua posizione apicale che lo rende garante della loro incolumità. La Corte ha inoltre ritenuto che la perizia di parte proposta, in cui si descriveva una situazione ottimale e in sicurezza dei luoghi di lavoro, è del tutto infondata, in quanto l’eccessiva “rumorosità, il continuo incrociarsi di mezzi meccanici e la presenza di buche nel suolo e di ingombri laterali” non configurano un ambiente in cui poter lavorare in sicurezza. Il ricorrente avrebbe dovuto valutare i rischi da interferenze e predisporre misure per ridurre il ”contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale”  (art.26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). La Corte sottolinea come sia obbligo del datore di lavoro predisporre misure di prevenzione dei rischi da interferenza, come ad esempio il blocco del transito dei pedoni nel momento di passaggio dei mezzi e viceversa. Tali misure avrebbero neutralizzato anche il rischio di disattenzione o di condotte imprudenti dei lavoratori e dunque l’incidente stesso.

2.il ricorso di B.G., il quale, pur riconoscendo l’attribuzione di una formale delega in materia di sicurezza, ritiene di non poter essere considerato responsabile in quanto tale delega era puramente formale e non sostanziale. Così affermando, l’imputato riconosce l’esistenza, validità e impeccabilità formale della delega. Dato che il mancato esercizio di poteri regolarmente conferiti non è motivo di esonero da responsabilità, ma al contrario configura un’inadempienza ai propri compiti, la Corte non può accogliere il ricorso

3.il ricorso di A.B., poiché non è plausibile che la società EMI fosse una mera fornitrice di macchinari e mano d'opera. Al contrario la sua presenza in cantiere e la sovraintendenza ai lavori mostrano un rapporto di appalto con la I.C. e per tanto A.B., titolare di EMI, è investito dagli obblighi in materia di sicurezza. L’imputato sarebbe dovuto intervenire presso la committente per adottare misure e procedure volte a neutralizzare i rischi derivanti dalla circolazione insicura dei mezzi e dalle condotte imprudenti dei lavoratori.  Inoltre, la Corte ritiene che la condotta di S.C., lavoratore coinvolto nell’incidente, non possa configurarsi come abnorme ed imprevedibile, in quanto la condotta omissima del datore di lavoro e l'evento mortale sono strettamente connesse. Pur riconoscendo un comportamento imprudente del lavoratore, questo non esula dalla sfera di prevedibilità.

Cassazione Penale, Sez. 4, 04 febbraio 2019, n. 5441 - Infortunio. Omesso fissaggio della tramoggia e responsabilità del CDA

Fatto:

Durante le operazioni di caricamento del materiale, la tramoggia di un macchinario per la miscelazione dei granuli cedeva sotto il peso dei sacchi di granulato che si rovesciavano e ferivano J.J., lavoratore dipendente della C. srl. Dalla ricostruzione dei fatti era emerso che l’impianto e la tramoggia stessa erano privi di punti di fissaggio ed erano, dunque, instabili e non conformi ai requisiti di sicurezza. Venivano condannati per il reato di lesioni personali colpose in violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro il presidente e tre membri del CDA dell’azienda.

Ricorrono congiuntamente per Cassazione i tre consiglieri sostenendo che:

1. L’infortunato avesse posto in essere una condotta abnorme e imprevedibile, in quanto, durante il caricamento dei sacchi, aveva sforato il limite massimo che la tramoggia poteva contenere e questo eccessivo riempimento era stata l’unica causa dell’incidente. Si tratta di una condotta estranea al processo produttivo e alle mansioni del lavoratore, il quale ne era perfettamente a conoscenza. Per tanto il CDA non può essere ritenuto responsabile per l’accaduto.

2. il macchinario e la tramoggia stessa erano conformi ai parametri antinfortunistici in quanto riportavano la marcatura CE e ciò, congiunto al fatto che nel libretto di istruzione del macchinario nulla è detto riguardo al fissaggio, non rende possibile configurare una mancanza o carenza in materia di sicurezza. Inoltre, qualora la tramoggia fosse anche stata regolarmente fissata ed ancorata a terra, non vi è certezza che l’evento non si sarebbe comunque verificato.

3. G.B., membro del consiglio di amministrazione dell’azienda, non ricopriva in realtà una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza, in quanto era sprovvisto di poteri di gestione e, secondo l’organigramma regolarmente divulgato, non figura tra i responsabili della salute e sicurezza della C. srl.

Commento:

La Corte ritiene infondati tutti e quattro i motivi, in quanto:

1. per poter escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento è necessario che il comportamento del lavoratore sia abnorme, ovvero estraneo alle mansioni e alle attività che tipicamente svolgeva. La Corte ha invece ritenuto che la condotta di J.J. fosse strettamente connessa all’attività lavorativa e che l’incidente, pur derivando da un’imprudenza, non configuri un comportamento imprevedibile ed eccentrico del lavoratore.

2. il difetto di stabilità della tramoggia è una violazione delle disposizioni antinfortunistiche, tanto che nel d.lgs. 81/2008 si parla espressamente di garantire “la stabilità dei macchinari, delle attrezzature da lavoro e degli elementi mobili o, quanto meno, la messa in sicurezza con opportuni dispositivi dei macchinari e delle attrezzature mobili”. Essendo garante dell’incolumità dei propri dipendenti, il datore di lavoro deve mettere a disposizioni impianti e macchinari che possano essere utilizzati senza “rischio di rovesciamento, caduta o spostamento intempestivo, anche con la previsione di appositi mezzi di fissaggio” (d.P.R. n. 459/1996). Inoltre, la Corte ha ribadito che l’incidente è da imputare all’inadeguatezza dei sistemi di sicurezza dell’impianto e che, se la tramoggia fosse stata regolarmente fissa, in ottemperanza a quanto stabilito dalla normativa antinfortunistica, l'infortunio non si sarebbe verificato.

3. il fatto che il macchinario sia marcato CE non costituisce motivo di esonero della responsabilità per il datore di lavoro, in quanto i suoi obblighi in materia di salute e sicurezza non si esauriscono con il mero controllo della marcatura, ma è tenuto ad accertare che il macchinario sia conforme a tutti requisiti di legge previsti. A nulla, dunque, rileva che la conformità CE essendo questa solo uno dei tanti parametri che l’impianto deve rispettare.

4. il fatto di esser membro del consiglio di amministrazione è sufficiente perché si delinei nei confronti di G.B. una responsabilità per l’accaduto. Infatti, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio e la sua appartenenza al CDA, unitariamente al fatto che non risultano deleghe conferite da G.B. ad altri soggetti in materia, confermano la sua implicazione e responsabilità nella vicenda

Per tali motivi la Corte, dunque, rigetta i ricorsi e conferma la condanna per i tre membri del CDA e per il presidente per lesioni colpose in violazione di norme antinfortunistiche ai danni del lavoratore.

 

Cassazione Penale, Sez. 4, 11 febbraio 2019, n. 6381 - Investimento mortale. Mezzo inidoneo e contemporanea presenza di veicoli e pedoni

Fatto:

A.B., lavoratore esperto presso T. srl, era alla guida di un veicolo che trasportava balle di fieno, quando, non accorgendosi della presenza del collega nella zona anteriore del veicolo, lo investiva procurandogli ferite mortali.

Sono stati giudicati responsabili dell’accaduto C.D., socio amministratore dell’azienda, e M.M., RSPP, con l’accusa di omicidio colposo in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro. Nello specifico veniva rimproverato a C.D. di aver consentito l'uso del veicolo nonostante offrisse una ridotta visibilità e non rispettasse i parametri di sicurezza, e a M.M. di non aver adottato procedure e misure che impedissero la contemporanea presenza di mezzi e di pedoni.

Ricorre per Cassazione C.D. ritenendo che l’incidente mortale sia stato determinato solamente dalla condotta imprevedibile ed eccezionale di A.B., conducente del mezzo, lavoratore esperto, che in quell’occasione non si era attenuto alle prescrizioni e istruzioni ricevute. Tali indicazioni e procedure erano infatti presenti nel documento di valutazione dei rischi congiuntamente alle misure per evitare il passaggio promiscuo tra mezzi e pedoni. Di tali indicazioni A.B., che da sei anni svolgeva quella mansione, era stato regolarmente informato e vi si era sempre attenuto. Il comportamento del lavoratore è, dunque, da considerare eccezionale ed esorbitante, unica causa dell’incidente.

Per gli stessi motivi ricorre per Cassazione anche M.M., ribadendo che nella valutazione dei rischi erano presenti le misure e i comportamen ti da seguire che avrebbero evitato l’incidente e che se questo è comunque avvenuto il motivo è da imputare solamente all’eccezionale ed imprevedibile condotta del lavoratore. Inoltre, secondo il RSPP, la Corte gli ha addebitato delle responsabilità riguardanti le condotte e le prassi aziendali di cui lui non era responsabile, trattandosi di decisioni prese dal datore di lavoro sulle quali non era stato neppure consultato.

Commento:

La Corte rigetta entrambi i ricorsi perché l’inottemperanza di A.B. alle procedure e alle misure antinfortunistiche aziendali configura una condotta negligente e colposa, ma non eccezionale ed abnorme, essendo comunque prevedibile. La Corte ritiene che il comportamento messo in atto dal lavoratore sia dovuto alle lacunose ed imprudenti indicazioni datagli dal RSPP, il quale era solito ricordare a voce ai lavoratori di usare cautela per evitare l’investimento dei pedoni. Tale comportamento attesta che, nonostante nella valutazione dei rischi fossero presenti le procedure e i comportamenti da tenere durante la conduzione del veicolo, la prassi aziendale consentiva e tollerava la promiscuità del passaggio in contemporanea di mezzi e pedoni. Di tali prassi, dunque, era a conoscenza M.M. e per tali motivi non è possibile ritenere che non ne fosse stato messo a conoscenza ed informato. Perché si possa escludere la responsabilità del RSPP occorre che si dimostri che aveva “fatto tutto quanto imposto dalla diligenza, dalla prudenza e dalla perizia” perché l’evento non si potesse verificare.

Per tali motivi la Corte rigetta ambo i ricorsi e conferma la condanna per omicidio colposo sia nei confronti del datore di lavoro, sia del RSPP.

Cassazione Penale, Sez. 4, 11 febbraio 2019, n. 6397 - Braccio incastrato nell'autobetoniera priva di griglia di protezione. Responsabile il datore di lavoro o il lavoratore infortunato?

Fatto:

D.S, legale rappresentante della G. srl e della D. srl, era stato riconosciuto responsabile per lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica a danno di R.B., dipendente della GHEOS srl. Quest’ultimo, che svolgeva funzione di autista, era salito su una autobetoniera ed era rimasto incastrato con il braccio nel tamburo del mezzo privo di carter di protezione. L’infortunato subiva gravissime lesioni all’arto che era stato successivamente amputato.
Inizialmente il Tribunale aveva riconosciuto come responsabili sia il legale rappresentante, perchè il mezzo non rispettava i parametri di sicurezza essendo sprovvisto di carter posteriore come invece previsto anche dal manuale di uso del mezzo, sia il lavoratore, poiché, disattendendo alle misure di sicurezza di cui era a conoscenza, impropriamente non aveva fermato la rotazione del tamburo prima di salire sul mezzo.

Successivamente la Corte di Appello aveva confermato la condanna nei confronti di D.S., assolvendo invece il lavoratore ritenendo che la sua condotta fosse da considerare incolpevole.

Ricorre per Cassazione D.S., obiettando sull’assoluzione del lavoratore che, a suo avviso, aveva trasgredito alle misure e alle indicazioni impartitigli. Secondo il datore di lavoro, dunque, il dipendente sapeva che prima di salire sul mezzo era necessario fermare il tamburo e che, qualora avesse riscontrato difetti o lacune in materia di sicurezza, come ad esempio la mancanza della griglia di protezione, avrebbe dovuto darne subito notizia ed interrompere l’attività. Inoltre, il fatto che tutti i mezzi visionati dagli ispettori ASL siano stati trovati con regolare carter di protezione e che per rimuoverlo è sufficiente sbullonare la griglia protettiva, fa presumere, a detta di D.S., che sia stato il lavoratore stesso a manomettere il sistema di protezione, al fine di poter più agilmente procedere con la pulizia e la manutenzione del mezzo. Per tali ragioni l'evento dannoso sarebbe da attribuire esclusivamente all’imprudenza di R.B., il quale, contravvenendo alle disposizioni aziendali in materia di sicurezza, ha posto in essere un comportamento eccezionale ed abnorme, fuori dalla sfera di prevedibilità del datore di lavoro.

Commento:

Il ricorso viene rigettato in quanto è emerso da fotografie del giorno dell’incidente, che il mezzo non solo era sprovvisto di griglia di protezione, ma che non era presente neppure il supporto metallico necessario ed indispensabile per l'apposizione della stessa. Per tale ragione la Corte non ritiene possibile che la protezione possa esser stata rimossa dal lavoratore, ma ritiene, invece, che questa doveva mancare già da prima che R.B. si accingesse a salire sul mezzo.
Si è dunque di fronte ad un caso di assenza di sistemi di protezione che avrebbero evitato il contatto tra il mezzo e il lavoratore.

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.S. per lesioni colpose in violazione di norme antinfortunistiche ai danni del lavoratore

Cassazione Penale, Sez. 4, 11 febbraio 2019, n. 6408 - Caduta dalla scala durante i lavori di pitturazione di una chiesa. Responsabilità del parroco

Fatto:

Nella parrocchia di M., di cui il F.B.L. era parroco, M.C. e D.M. si erano volontariamente e gratuitamente offerti di dipingere le pareti. Durante i lavori M.C. accidentalmente cadeva dalla scala alta 3 metri procurandosi gravi lesioni.

Veniva riconosciuto responsabile dell’accaduto il parroco, in quanto aveva permesso che i lavori si svolgessero senza il rispetto delle norme antinfortunistiche in materia di lavoro in quota.

Ricorre per Cassazione F.B.L. sostenendo che non era stato lui, ma un parrocchiano, a dare l'incarico e ad autorizzare M.C. ad iniziare i lavori di restauro della chiesa. Sostiene, inoltre, che l’infortunato non svolgeva lavori in quota, perchè la scala era alta 3 metri, ma ciò non significa che M.C. si trovasse a quell’altezza, anzi, dato che la porzione di muro che stava pitturando al momento dell’incidente era a 2,50 metri da terra è certo che lui si trovasse ad una altezza inferiore.

Commento:

La Corte rigetta il ricorso in quanto, secondo le norme in materia di sicurezza, l'altezza superiore a 2 metri (altezza che classifica il lavoro come lavoro in quota) non fa riferimento all’altezza alla quale si trova il lavoratore, ma dove il lavoro viene eseguito. Essendo, quindi, la porzione di muro pitturata a più di 2 metri (2,5 metri da terra), questa attività è a tutti gli effetti classificabile come lavoro in quota e dunque la sua esecuzione avrebbe dovuto rispettare i parametri e le norme antinfortunistiche. Inoltre, la Corte sostiene che nonostante non fu il parroco a dare l’incarico ai volontari per l’esecuzione dei lavori, ne era certamente informato, in quanto aveva messo a diposizione il luogo e il materiale per lo svolgimento. Ciò lo inquadra, alla stregua di un datore di lavoro, come soggetto garante della sicurezza dei due volontari e a lui è rimproverato di non aver “adottato tutte le misure necessarie a prevenire infortuni.” Infatti, quand'anche il parroco non avesse personalmente conferito l'incarico, il fatto che abbia personalmente preso accordi e messo a disposizione il luogo dell’esecuzione dei lavori senza predisporre alcuna misura antinfortunistica per i volontari, lo rende responsabile dell’accaduto.

Per tali ragioni la Corte conferma la sentenza di condanna nei suoi confronti.


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