Cassazione penale: sentenze aprile 2019

Cassazione Penale, Sez. 4, 04 aprile 2019, n. 14915 - Infortunio mortale. L'obbligo datoriale di vigilare sull'osservanza delle misure prevenzionistiche può essere assolto attraverso la preposizione di dirigenti e preposti
Fatto:Durante i lavori di scavo, E.C., lavoratore neo assunto dall’impresa edile a cui erano affidati i lavori, era rimasto schiacciato da un blocco di cemento mentre lo movimentava con una autogru.
Dalla ricostruzione dei fatti era emerso che il blocco di cemento doveva essere posizionato sul fondo di uno scavo e che, durante la sua movimentazione, gli ancoraggi dell’autogru avevano ceduto e il blocco era precipitato uccidendo il lavoratore che si trovava sul fondo dello scavo.
Sono stati ritenuti responsabili dell’accaduto:
- A.G., datore di lavoro della ditta che stava eseguendo i lavori, per non aver previsto nel POS i rischi e le procedure per la movimentazione dei blocchi e non aver sorvegliato sulle attività di lavoro, trovandosi fisicamente altrove in quei giorni;
- A.N., preposto e familiare di A.G., per non aver supervisionato sulle manovre di ancoraggio del gancio della gru e non aver impedito all’operaio di trovarsi nell'area sottostante il carico sospeso. A lui è contestato di non aver adottato misure di prevenzione idonee a ridurre il rischio per i lavoratori, quali l’utilizzo di una base di appoggio per il blocco di cemento durante il suo spostamento;
- B.A., titolare dell'impresa di costruzione dell’autogru, per aver messo a disposizione dell’impresa l’autogru senza l’adeguata documentazione, tra cui il libretto di istruzioni, come previsto per legge;
- Il primo sostenendo di non essere stato informato dal preposto che i blocchi da posizionare nello scavo sarebbero stati di cemento e non di vetroresina, come inizialmente stabilito, e di aver omesso di aggiornare il POS proprio perché non era stato messo a conoscenza di questa variazione. Inoltre, la Corte gli ha contestato l’assenza dal cantiere, ove avrebbe dovuto recarsi giornalmente per coordinare i lavori che si stavano svolgendo. A ciò il ricorrente risponde che suo avviso la presenza sia del preposto che del coordinatore per la sicurezza era più che sufficiente per supervisionare le operazioni di movimentazione dei blocchi, essendo entrambe figure con esperienza pluriennale;
- Il secondo sostenendo che la movimentazione dei blocchi di cemento era sempre avvenuta con quelle modalità e che non vi erano mai stati segnali di cedimento della gru e nulla, anche nei giorni prima, aveva lasciato presagire l’incidente del tutto in aspettato e non imputabile a carenze in materia di sicurezza. Per quel che attiene l’utilizzo di una struttura di appoggio ulteriore per i blocchi, il ricorrente ritiene che ciò non sarebbe bastato ad evitare l‘incidente essendo derivato, secondo il parere di esperti, dal cedimento dei ganci dell’autogru, il cui difetto non era visibile o identificabile
- La Corte accoglie il ricorso di A.G., in quanto, in qualità di datore di lavoro, ha l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alla lavorazione, predisporre le misure di prevenzione per eliminarli o almeno ridurli e vigilare sull'osservanza e il rispetto di tali misure da parte dei lavoratori. Quest’ultimo punto è quello che gli è stato recriminato nei gradi di giudizio precedenti, ma che la Corte di Cassazione ritiene che possa “essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e di procedure che assicurino che il datore sia a conoscenza delle attività lavorative effettivamente compiute in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione”.Cioè, dirigenti e proposti sono figure incaricate di collaborare con il datore di lavoro, i primi attuando le direttive e organizzando l’attività lavorativa, i secondi sovraintendendo l’esecuzione dei lavori e garantendo l’attuazione e il rispetto delle procedure impartite. Questi soggetti, dunque, sono garanti della sicurezza ed è tramite loro che il datore di lavoro adempie al suo obbligo di vigilanza. La responsabilità dell’accaduto è per tanto attribuibile al preposto, il quale, proprio per il suo ruolo, era incaricato di sovraintendere e coordinare la concreta esecuzione del lavoro.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, la responsabilità che va accertata nei confronti del datore di lavoro riguarda la mancanza di procedure per lo svolgimento del lavoro e di conformità delle attrezzature ai parametri di legge. Il giudizio della Corte di Appello si era invece concentrato sulla carenza di sorveglianza, da escludere perché affidata al preposto, e alla sua disinformazione riguardo lo stato di avanzamento dei lavori, anch’essa da escludere per il suo legame di parentela con il preposto che la fa ritenere impensabile. Per tali ragioni la Corte annulla la sentenza impugnata da A.G. e rinvia alla Corte di Appello l’esame della responsabilità per carenze di procedure di sicurezza e utilizzo di attrezzature non conformi ai parametri antinfortunistici. - Al contrario il ricorso presentato da A.N. è stato rigettato perché “non risulta in alcun modo provato che i carichi di cemento erano sempre stati movimentati con questo sistema” e, secondo i periti che hanno visionato l’autogru, l’imminente cedimento dei ganci era palese e visibile a chiunque, anche senza il supporto documentale del libretto di istruzioni. Il ricorrente aveva poi sostenuto che la presenza di una struttura di appoggio per i blocchi non avrebbe inciso sull’accaduto e non lo avrebbero scongiurato. Al contrario, la Corte ha ritenuto che, qualora fosse stata predisposta una base di appoggio il carico sarebbe rimasto sospeso per minor tempo, sforzando meno sui ganci già difettosi che, probabilmente, avrebbero retto il peso dei blocchi di cemento per il breve lasso di tempo in cui sarebbero rimasti sospesi.
Per queste ragioni la Corte ha ritenuto infondato il ricorso di A.N.
Cassazione Penale, Sez. 4, 04 aprile 2019, n. 14925 - Crollo di una gru a bandiera installata in un cantiere. Omessa messa in sicurezza del sito
Fatto:Nel cuore di un centro abitato una gru a bandiera sita in un cantiere edile crollava per il forte vento investendo e danneggiando abitazioni private. Sono stati ritenuti responsabili per condotta colposa dovuta ad imprudenza, imperizia e negligenza e per violazione delle norme di sicurezza B.S., datore di lavoro dell’impresa edile che stava eseguendo i lavori e G.B., responsabile del cantiere. Secondo le ricostruzioni il cedimento era derivato dalla rimozione delle travi di fondazione, dei fine corsa e dei cunei di arresto della gru e dalla realizzazione di uno scavo attorno alla base del carrello che ne aveva determinato un’instabilità. Il mezzo, che appoggiava su rotaie, era privo di efficaci meccanismi di freno che ne impedissero lo scorrimento e di sistemi di fissaggio al terreno, quali ad esempio funi o altri meccanismi, per contrastare la forza del vento che ne ha determinato il crollo. Infine, era stato accertato che il bracco meccanico della gru doveva essere periodicamente ingrassato, cosa che invece non avveniva da diversi mesi. Secondo l’accusa quest’insieme di mancanza aveva portato la gru ad uno stato di instabilità tale che, con il forte vento di quei giorni, ne aveva causato il crollo.
Contro tale giudizio ricorrono per Cassazione B.S. e G.B. Il primo ritenendo che non era stato dimostrato un nesso di causalità tra gli interventi apportati alla struttura della gru e il crollo. A suo avviso, quand’anche fossero stati presenti sistemi antiscivolamento della gru sulle rotaie ciò non avrebbero potuto contrastare la forza del vento ed evitare la caduta della gru. Essendo state fatte le modifiche diversi mesi prima del crollo e non essendoci mai stati segnali di cedimento e instabilità, non è possibile ricollegare l’accaduto a questi interventi strutturali. Per quel che attiene il mancato ingrassaggio del braccio, B.S. obbietta che nonostante ciò fosse espressamente previsto dai libretti di istruzione, questa mancata manutenzione ha effetti durante l’’utilizzo e la movimentazione della gru e non certo sulla stabilità della struttura. Ovvero, pur riconoscendo le carenze della manutenzione del braccio, queste nulla hanno a che vedere con l’incidente, che si sarebbe ugualmente verificato per il forte ed inaspettato vento.
Il secondo ritenendo che la Corte di Appello aveva basato la ricostruzione degli eventi su “considerazioni di natura tecnica prive di riscontro probatorio e non idonee a superare il ragionevole dubbio” e che il riconoscimento della sua responsabilità non teneva conto che il suo compito come responsabile del sito era già terminato al momento del crollo della gru. Secondo G.B. al momento della cessazione del suo incarico il sito si trovava in totale sicurezza e la gru era perfettamente ancorata a terra e in grado di resiste ad eventuali forti raffiche di vento. Non essendo più il sito posto sotto la sua sorveglianza nulla può essergli rimproverato per fatti avvenuti molto tempo dopo la cessazione del suo incarico.
Commento:
La Corte rigetta entrambi i ricorsi affermando che, per quel che riguarda B.S., se è pur vero che l’ingrassamento del braccio meccanico della gru non è stata la causa principale del crollo, è pur certo che questa mancanza, congiunta alle altre condotte a lui contestate (quali la rimozione dei dispositivi di freno, il taglio dei binari e la realizzazione di una scarpata vicino alla base della gru) sono state le cause determinanti dell’incidente. Il nesso causale tra il crollo e gli interventi modificativi descritti è accertato oltre ogni ragionevole dubbio, anche sulla base delle valutazioni tecniche dei periti. L’ingrassaggio del braccio, pur non essendo stato il solo fattore determinante, è da considerare nell’insieme delle lacune in materia di sicurezza, infatti, più testimoni avevano dichiarato che nei giorni precedenti al crollo il braccio della gru non si trovava più in posizione tale da assecondare il vento. L’azione del vento, dunque, era stata decisiva perchè aveva trovato il braccio della gru bloccato per il mancato ingrassaggio e questo, unito alle precarie condizioni di stabilità in cui si trovava la gru, ne ha determinato il crollo.
La Corte ha poi respinto il ricorso di G.B. riconoscendo che al momento dell’accaduto non era più direttore del cantiere edile, ma sottolineando come gli interventi strutturali della gru che ne hanno portato al cedimento erano stati eseguiti mentre il sito era ancora sotto la sua custodia. Nulla rileva, quindi, se il crollo si è verificato solo successivamente. Quel che importa è che mentre G.B. era responsabile erano state apportate modifiche tali da mettere la gru in una precaria condizione di instabilità e d’insicurezza, e ciò in violazione di ogni disposizione di legge. Il ricorrente aveva affermato che al momento della cessazione del suo incarico il sito si trovava in perfette condizioni di sicurezza, ma l’instabilità della gru era evidente a tutti, anche ai cittadini del paese, a prescindere da conoscenze tecniche specifiche e pertanto G.B. non avrebbe potuto non accorgersi del pericolo imminente. Il suo ruolo di responsabile del cantiere gli imponeva di intervenire e ripristinar le condizioni di sicurezza. Per tali ragioni la Corte rigetta il ricorso e lo ritiene responsabile dell’accaduto.
Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17207 - Corretto utilizzo del carrello elevatore. Non può essere abnorme il comportamento del lavoratore che agisce seguendo una direttiva del datore di lavoro
Fatto:A.O., dipendente dell’azienda di R.B., era rimasto gravemente ferito dal crollo di una pila di pneumatici che stava spostando. Il lavoratore, che aveva il compito di movimentare la merce del magazzino a mezzo di carrello elevatore, aveva prelevato con le mani un pneumatico dalla base del cumulo che gli precipitava addosso, ferendolo. E’ stato ritenuto responsabile dell’accaduto R.B., datore di lavoro, per non aver adeguatamente formato ed informato il lavoratore sui rischi della mansione e non aver impedito che fossero adottati comportamenti contrari alle misure antinfortunistiche. R.B. ricorre per Cassazione sostenendo che non vi sia un nesso di causalità fra le carenze in materia di sicurezza e l'evento, in quanto la condotta adottata dal lavoratore è da ritenersi del tutto priva di buon senso. A prescindere dai corsi di formazione ed informazione, infatti, era impensabile che il lavoratore decidesse di movimentare gli pneumatici a mano, avendo a disposizione il carrello elevatore, e soprattutto partendo dall’ultimo alla base del cumulo. Tale condotta imprudente non è da collegare ad una carenza di formazione, ma ad un errore di valutazione personale che non poteva essere previsto dal datore di lavoro. Il lavoratore avrebbe dovuto agire con prudenza, attendendosi alle direttive ricevute e collaborando per assolvere gli obblighi di prevenzione e dunque il suo comportamento è da ritenere eccedente la sfera di controllo del datore di lavoro ed imprevedibile.
Commento:
La Corte rigetta il ricorso rilevando che all'imputato è contestata l'omessa formazione del dipendente che avrebbe fornito nozioni non solo su i rischi specifici della mansione, ma anche sulle condotte da evitare ed i corretti comportamenti da tenere sia durante lo svolgimento dell’attività lavorativa sia durante la sua permanenza in azienda. Inoltre, è emerso che l’idea di movimentare la pila di pneumatici partendo dal basso non nasceva da una scelta personale del lavoratore, ma derivava da una chiara direttiva dettata dall’azienda. Pertanto, avendo A.O. agito secondo le indicazioni impartitigli, il suo comportamento non poteva assolutamente considerarsi eccentrico ed esorbitante. La responsabilità ricade sul datore di lavoro che, richiedendo espressamente al lavoratore di partire dal basso del cumulo degli pneumatici, aveva impartito disposizioni contrarie sia al buon senso sia alle norme antinfortunistiche. “Non può mai essere abnorme il comportamento del lavoratore che agisce seguendo una direttiva del datore di lavoro”.
Per tali ragioni la Corte ritiene inammissibile il ricorso e lo rigetta.
Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17215 - Caduta mortale dal tetto. Mancanza di cautele
Fatto:Durante i lavori affidati in appalto all’impresa E. per la rimozione di lastre di amianto dal tetto, G.B., dipendente E., precipitava riportando gravissime lesioni che ne avrebbero determinato la morte pochi giorni dopo. È stato ritenuto responsabile dell’accaduto U.D., datore di lavoro dell’impresa appaltante, per omicidio colposo con imprudenza, negligenza ed imperizia e violazione di norme di sicurezza. In particolare gli è contestata la mancanza di misure anticaduta, quali la linea vita sul tetto del capannone sui cui operavano i lavoratori per lo smontaggio delle lastre e per non aver svolto in modo efficace il controllo e la vigilanza sulle condotte poste in essere dai lavoratori.
Propone ricorso per Cassazione il datore di lavoro, sostenendo che se si parte dal presupposto che il sito presso cui si svolgeva l’attività lavorativa è da considerarsi come unico, nonostante i capannoni al suo interno fossero due, la presenza di misure antinfortunistiche e anticaduta, tra cui la stessa la linea vita, sul tetto di uno solo dei due capannoni assolvesse i suoi obblighi in materia di sicurezza.
Commento:
La Corte rigetta il ricorso perchè, se è pur vero che la linea vita era disponibile nel cantiere, è però da considerare che si trovava solo nel capannone non interessato dai lavori e non su entrambe le strutture come invece sarebbe stato necessario. Il semplice aver messo un piede in fallo sul tetto è stata la causa della morte del lavoratore e ciò è la dimostrazione che le misure adottate in tutto il cantiere non erano sufficienti a scongiurare l’evento. Infatti, la caduta sarebbe stata evitata se fossero stati messi a disposizione degli operatori sistemi di anticaduta e di protezioni anche sul tetto del secondo capannone. La Corte ribadisce che la salute e la sicurezza dei lavoratori è un limite invalicabile anche a fronte di imminenti esigenze di lavoro. Il datore ha il compito di analizzare ogni rischio presente in azienda e di predisporre misure per eliminarlo, o, se ciò non fosse possibile, “evitare che l'evento si rafforzi perché la sua prevedibilità è intrinseca al tipo di attività svolta”. L’aver predisposto misure anticaduta solo in uno dei due capannoni, non è dunque sufficiente per poter escludere la responsabilità del datore di lavoro, il quale non ha adempiuto ai propri obblighi in materia di salute e sicurezza. Per tali ragioni la Corte rigetta il ricorso e condanna U.D. per omicidio colposo in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza.
Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17213 - Infortunio mortale durante la rimozione dei lucernari. Responsabilità del coordinatore dei lavori
Fatto:Durante lavori in quota per la sostituzione dei lucernari un operaio poggiava un piede su una lastra che si sfondava, facendolo precipitare a terra e procurandone il decesso.
E’ stato ritenuto responsabile dell’accaduto D.B. in qualità di coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori poiché non aveva analizzato e previsto adeguate misure di sicurezza per fronteggiare il rischio di caduta dall’alto e aveva permesso che i lavoratori operassero mentre i sistemi di anticaduta non erano in funzione.
Propone ricorso D.B. sostenendo che il piano di sicurezza esistente teneva conto ed analizzava il rischio di caduta dall’alto, tanto che erano state predisposte misure di prevenzione quali parapetti, ponteggi, linea vita ed imbraghi. Nel sito erano anche state installate reti anticaduta dei lucernai che in quei giorni non erano in funzione perché in fase di sostituzione. La scelta di permettere agli operai di lavorare in condizioni di non assoluta sicurezza nonostante l’altezza elevata era stata ponderata sulla base del breve tempo che questi avrebbero passato in quota e della fornitura di altri sistemi di anticaduta che l’infortunato non aveva però utilizzato. Secondo il ricorrente, dunque, l’incidente è avvenuto non per carenze di misure di prevenzione, ma per l’autonoma decisione del lavoratore di non utilizzare i sistemi di protezione che gli erano stati regolarmente forniti. Secondo D.B., poi, nonostante il suo compito di coordinatore non implicava una presenza continua nel cantiere e una funzione di controllo sulle modalità di svolgimento delle lavorazioni, comunque era solito recarsi in cantiere e impartire disposizioni riguardanti la sicurezza e tali indicazioni, a suo dire, erano sempre state recepite e adottate quando era presente, pertanto non gli si possono rimproverare carenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. Le cause dell’incidente sono più che altro da ricercare nella condotta imprudente e negligente del lavoratore che, pur essendo stato regolarmente formato, non aveva indossato i dispositivi di protezione individuali prescritti e si era aggirato per il cantiere in zona in cui non era stato autorizzato ad entrare, disobbedendo a precise prescrizioni impartite.
Commento:
La Corte rigetta il ricorso ritenendo che l’analisi dei rischi dei lavori in quota non era sufficiente ed adeguata poiché non erano state predisposte procedure specifiche e non era stata verificata la portanza della zona su cui i lavoratori dovevano operare. Il coordinatore per la progettazione, infatti, avrebbe dovuto considerare che la sostituzione dei lucernari implicava “un rischio maggiore del solo lavoro in quota, in quanto prevedeva la rimozione delle reti di protezione” e pertanto sarebbero dovute essere presenti mirate procedure e misure di sicurezza per scongiurare l’incidente. Le indicazioni impartite da D.B. e i sistemi di protezione alternativi alle reti e agli imbraghi non sono risultati sufficienti, tanto che l’evento mortale si è verificato ugualmente.
Per quel che riguarda l’obiezione secondo cui il lavoratore ha autonomamente deciso di non indossare i dispositivi anticaduta, la Corte ritiene che non si possa trattare di un comportamento anomalo ed estraneo e che spettasse al coordinatore e al datore di lavoro vigilare affinché la lavorazione si svolgesse in assolute condizioni di sicurezza. A loro sono infatti affidati i compiti di prevenzione che riguardano la formazione ed informazione dei lavoratori, l’analisi di tutti i rischi, la predisposizione di opportune misure di sicurezza e la costante verifica sul loro corretto utilizzo.
Per tali ragioni non è possibile escludere il profilo di responsabilità nei confronti del coordinatore ed accogliere il ricorso e la condanna viene confermata.