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Don Tarcisio Pigionatti, il carisma dell'educatore

Don Tarcisio Pigionatti è uno di quegli esponenti del mondo cattolico "che hanno avuto larga parte nella storia recente di Varese", scrive Luigi Orrigoni nella prefazione del volume di Gianni Spartà e Riccardo Prando "Don Pigio", edito da Macchione per la collana "I Varesini illustri". "A sacerdoti illuminati e intraprendenti si devono realizzazioni che hanno segnato lo sviluppo sociale della città - prosegue Orrigoni - e Monsignor Pigionatti è una di queste figure carismatiche".
"Uno degli ultimi eredi dell'Ora et Labora", lo definisce Alfredo Ambrosetti, varesino, inventore dei workshop di Cernobbio. Don "Pigio" nasce a Venegono Inferiore nel dicembre 1914, allo scoppio del primo conflitto mondiale. Nei suoi ricordi d'infanzia, probabilmente, le devastazioni del conflitto, i caduti e i feriti e l'idea che tutto ciò dipendesse da assurde incomprensioni tra popoli e nazioni. Dal settembre dello stesso anno, inoltre, il Varesotto era anch'esso interessato dal fenomeno del rientro forzoso in patria di tanti emigrati che, per essere italiani, non erano più graditi nei paesi con i quali l'Italia non era alleata militarmente. Torme di poveri operai che facevano ritorno a casa con le tasche vuote, per soccorrere i quali si era messa in moto un'imponente macchina organizzativa a cura della Chiesa. Don Pigionatti viene alla luce in questo clima di solidarietà umana e di pietà cristiana e piace pensare che il piccolo Tarcisio avbbia tratto col latte materno anche la generosità per accogliere personalmente, nel periodo ben diverso del boom economico, altri immigrati in cerca di riscatto. Sì, perché l'opera a cui si dedicò interamente, dopo gli anni della seconda guerra mondiale nei quali partì volontario per fare il cappellano militare sul fronte greco-albanese, è quel Collegio De Filippi che sorge sul colle dei Miogni, a Varese, da lui realizzato con grande slancio e spirito organizzativo. Un Collegio che per decenni ha ospitato corsi di scuola media superiore nei quali si sono formati generazioni di studenti e che aveva la particolarità di poter ospitare studenti forestieri e anche stranieri, spesso inviati a Varese da sacerdoti missionari con i quali Don Pigionatti era in costante contatto.
Il De Filippi aveva finito per diventare anche un centro di prima accoglienza di chi arrivava dal Sud, ma anche dal Nord Est, per un posto di lavoro a Varese. Medici, magistrati, funzionari pubblici, tecnici aeronautici, insegnanti, poliziotti, prima di trasferirsi con la famiglia, usavano prendere aloggio in quel convitto, protetti da un sacerdote pronto a dare ospitalità, suggerimenti, raccomandazioni. E con quelli, anche tante promesse dello sport italiano: Marini, Gentile, Bettega, Boninsegna, Meneghin, Anastasi, Picchi e altri ancora.
L'edificio venne realizzato con il determinante concorso economico di Giovanni Borghi, fondatore della Ignis, che già aveva promosso a Cassinetta di Biandronno un convitto per i propri operai. Per un trentennio, fino agli inizi degli anni '80, il De Filippi fu una realtà di circa seicento alunni e di una settantina di docenti. Gli studenti africani - somali, ugandesi, kenioti, senegalesi, etiopi, nigeriani - raggiunsero quota sessanta. Accolti con borse di studio offerte da enti e da privati del territorio, venivano guidati al raggiungimento del diploma di perito industriale per renderli capaci di ritornare alle loro terre pronti ad occuparsi dell'evoluzione economica e sociale dei propri connazionali e ad essere i migliori messaggeri delle conquiste industriali delle imprese varesine. Fu tra le prime istituzioni in Italia ad aprirsi anche agli africani di religione islamica e "Don Pigionatti - ricorda l'avvocato Giovanni Valcavi - diceva che solo mostrando di essere tolleranti, avremmo potuto vincere la loro intolleranza".
Il Collegio fu ed è ancora una realtà aperta all'esterno, disponibile per chiunque chiedesse una sala d'incontro. Ecco allora le tante riunioni, i convegni, i pranzi, le storie, i progetti politici, le funzioni liturgiche molte delle quali per commerare i caduti da parte di quelle associazioni di ex-combattenti che ritrovarono in Don Pigio il proprio punto di riferimento spirituale.
Dei due autori, Riccardo Prando si occupa di raccontare la storia del personaggio e della sua impresa, mentre Gianni Spartà di ricostruire i cambiamenti che, all'interno soprattuto del mondo cattolico varesino, si manifestarono in quei decenni nei quali Monsignor Pigionatti svolse la sua opera, per far meglio comprendere il clima di pensiero che, decennio dopo decennio, rappresentò l'alveo culturale di riferimento.