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Collocamento obbligatorio e previdenza integrativa: ecco le novità

Il diritto del lavoro alla vigilia di profonde trasformazioni- non sempre coerenti le innovazioni

E' ricca di novità in materia di diritto del lavoro la prima parte del 2000: numerosi e importanti sono infatti i provvedimenti entrati in vigore.
La nuova disciplina del collocamento obbligatorio propone da un lato la riduzione dei posti di lavoro da riservare ai disabili dal 15 al 7% e dall'altro l'estensione dell'obbligo anche alle imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti: queste ultime in caso di nuove assunzioni aggiuntive hanno l'obbligo di assumere un disabile.
Dopo anni di sollecitazioni da parte del mondo industriale, si viene finalmente a superare il sistema di collocamento del tutto casuale degli invalidi in atto sino a oggi. Il nuovo sistema dovrà tener conto delle posizioni di lavoro che le imprese annualmente devono dichiarare disponibili e che saranno ricoperte mediante un "collocamento mirato", articolato su una serie di strumenti tecnici di supporto che permettono di valutare i disabili nella loro residua capacità lavorativa e di inserirli nel posto di lavoro adatto.
Il provvedimento è operativo dalla metà di gennaio; resta però da verificare la reale capacità delle Pubbliche Amministrazioni, in particolar modo delle Province a cui è demandato l'incarico, di dare attuazione in maniera coerente ed efficace ai contenuti della legge.Attorno alla previdenza integrativa, poi, si agita il dibattito politico e sociale, anche perché questo è un argomento strettamente collegato alla riforma del sistema previdenziale obbligatorio.
Nel tentativo di favorire proprio la previdenza integrativa, il Governo sta progettando un riordino della disciplina del trattamento di fine rapporto (TFR), prevedendo la possibilità di destinare questo istituto retributivo ai fondi chiusi.
Un provvedimento che suscita perplessità in primo luogo perché non è inquadrato in un progetto organico di riforma del sistema previdenziale e in secondo luogo perché sottrae alla competenza delle parti sociali la disponibilità di risorse economiche che sono per loro natura un istituto retributivo.

Ma quello che più colpisce nel provvedimento è lo scarso rispetto verso il cittadino lavoratore, cui non viene lasciata la reale possibilità di scelta sulla migliore utilizzazione del proprio reddito, essendo previsto, come unica alternativa rispetto all'adesione ai fondi comuni d'investimento, l'obbligo di conferire il TFR a un fondo gestito dal Ministero del Tesoro.
Il Consiglio dei Ministri ha poi approvato un Decreto legislativo (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che introduce, per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico, una regolamentazione dettagliata in via generale del lavoro notturno (prima regolato solo da specifiche disposizioni dettate ad hoc per singole categorie di lavoratori, quali apprendisti, minori e lavoratrici madri, nonché dall'art. 2108 del Codice Civile che si limitava a imporre il pagamento di una maggiorazione retributiva, e infine dai singoli contratti collettivi di categoria).
La norma contiene un'articolata definizione del lavoro notturno come istituto giuridico e del lavoratore notturno come soggetto destinatario di una particolare tutela legale aggiuntiva rispetto a quella dei normali dipendenti.
Sono previste rigorose limitazioni a questa forma di lavoro sotto forma di limiti temporali posti alla durata delle prestazioni notturne e di condizioni da rispettare per la sua effettuazione. Sono introdotte procedure anche nei confronti delle rappresentanze sindacali interne/esterne e della Direzione Provinciale del Lavoro per dare regolarmente corso alla prestazione notturna. Oltre a ciò, vengono configurati oneri retributivo/normativi prima inesistenti (quali ad esempio la necessità di assicurare, tramite contrattazione collettiva, una riduzione dell'orario di lavoro settimanale e mensile ai lavoratori notturni) e rilevanti sanzioni penali (arresto/ammenda) o amministrative (da £.100.000 a £.300.000 per giorno e per lavoratore) per l'inosservanza delle disposizioni più significative in termini di rispetto delle regole di igiene e sicurezza e di durata della prestazione.
Tra i provvedimenti in materia di lavoro che sono poi sottoposti a esame parlamentare in questo momento, si segnala quello sui congedi parentali come recepimento, in verità a un primo esame poco coerente, di una direttiva Comunitaria. E' previsto l'ampliamento del periodo di astensione facoltativa per maternità, portandolo dagli attuali 6 mesi (entro il 1° anno di età del bambino) a 10/11 mesi (entro gli 8 anni di età del bambino). L'assenza per malattia del bambino è permessa poi fino agli 8 anni di età dello stesso.
Il diritto di assentarsi dal lavoro, riconosciuto anche per i casi di adozione e di affidamento, viene inoltre esteso al padre
lavoratore subordinato il quale può astenersi anche se -diversamente da quanto previsto da sistema vigente- la moglie è libera professionista, collaboratrice coordinata e continuativa, coltivatrice diretta, colono, artigiana ed esercente attività commerciale, casalinga, disoccupata. E' inoltre esteso al padre lavoratore il diritto a usufruire dei permessi per allattamento (due ore al giorno retribuite, sino al compimento di un anno di età del bambino) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
Viene garantito invece alle aziende con meno di venti dipendenti uno sgravio contributivo del 50% nei casi di assunzione con contratto a termine per la sostituzione di lavoratori e/o lavoratrici in astensione obbligatoria o facoltativa per maternità, ovvero in permesso per malattia del bambino.
Da ultimo, segnaliamo il provvedimento in materia di lavori atipici attualmente all'esame della Commissione Lavoro della Camera, in sede referente.
Il testo prevede una durata minima del rapporto di tre mesi, derogabile solo per quelle forme di rapporto destinate per la loro particolare natura a concludersi in un periodo di tempo inferiore, e l'estensione ai lavoratori atipici dei diritti d'informazione previsti dai contratti collettivi per i dipendenti subordinati.



Il parere di Michele Graglia
vicepresidente dell'Unione Industriali

Michele GragliaLeggendo gli ultimi provvedimenti di legge in materia di diritto del lavoro, se ne ricava dapprima una impressione di disordine, poi un profondo senso di incertezza. Questa sensazione nasce di fronte alla estrema difficoltà di trovare una logica unitaria nei vari interventi del legislatore. Si ha come l'impressione che si proceda senza un preciso disegno e, quel che è peggio, senza una accurata ed organica riflessione.
Le diverse iniziative del Parlamento - ma anche quelle del Governo, si pensi, ad esempio, al progetto di riforma del trattamento di fine rapporto - annunciate o promosse che siano, denunciano in questo senso una preoccupante fragilità di sistema.
Il mondo del lavoro attraversa, per effetto della globalizzazione dei mercati e per l'avvento delle nuove tecnologie, una fase di straordinaria trasformazione che necessiterebbe di essere, in qualche misura, almeno compresa, prima ancora che disciplinata.
Il nostro legislatore deve considerare con attenzione questa evoluzione per coglierne i tratti di maggiore significato. Deve tendere a disegnare una disciplina organica del rapporto di lavoro che non risulti inadeguata a rappresentare le istanze proprie di una società economicamente e socialmente avanzata.

03/06/2000

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