Varesefocus.
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
Varesefocus

 
 

Dove arriva la flessibilità

E’ entrato nel vivo il negoziato per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro del settore meccanico: i sindacati hanno trovato, tra di loro, un accordo su una piattaforma di richieste unitaria, che non sembra tenere però in debita considerazione le difficoltà del momento.

Michele GragliaIl negoziato per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro del settore meccanico entra nel vivo e, come di consueto, subito si catalizzano le attenzioni dei media e, ovviamente, degli addetti ai lavori. Le ragioni ci sono tutte. Intanto si tratta del contratto collettivo per antonomasia, quello che non solo interessa la categoria più numerosa dei lavoratori, ma anche quello che di norma segna le tappe delle relazioni industriali nel nostro paese. Poi c’è in gioco il destino dell’accordo del 23 luglio 1993 e, più in particolare, degli assetti contrattuali che sono stati definiti in quell’intesa. Infine il negoziato di quest’anno si apre con una novità di rilievo: i sindacati dei lavoratori meccanici aderenti a Cgil, Cisl, Uil hanno trovato, tra di loro, un accordo sulla presentazione di una piattaforma di richieste unitaria.
E’ una svolta, dopo un periodo non breve nel quale la Fiom-Cgil aveva fatto mancare la propria firma ad accordi sindacali sottoscritti, invece, dalle altre organizzazioni sindacali: accordi sia con le rappresentanze delle imprese, su temi contrattuali, ma anche, oltre che con queste ultime, con il governo, su temi di politica economica concertata.
Quest’ultima novità deve essere salutata con favore, ma senza facili entusiasmi. E’ un punto di partenza, non certamente un punto di arrivo.
E’ interesse del paese che, a tutti i livelli, si trovi compattezza e unità di intenti. Il paese sta attraversando un momento critico per l’economia e c’è bisogno di condividere il più possibile obiettivi e disegni strategici, di fare fronte comune per aiutarlo a superare le difficoltà dell’oggi, che dipendono sia da fattori interni (una deriva competitiva del sistema-paese che non è fenomeno recente), sia da fattori esterni (la sempre più agguerrita competizione commerciale dei paesi emergenti).
La frammentazione nella rappresentanza delle parti sociali è un elemento disgregante, che rende difficoltosa la ricerca di un comune denominatore su obiettivi condivisi. Bene, allora, che la Fiom-Cgil sieda al tavolo del negoziato e che non abbia dunque a ripetersi il fenomeno di due anni or sono, quando, dopo la sottoscrizione del contratto dei meccanici da parte delle sole Fim-Cisl e Uilm-Uil, la Fiom avviò autonomamente una serie di vertenze, azienda per azienda, con l’intento di far sottoscrivere un contratto alternativo. Che la decisione di oggi possa dipendere, poco o tanto, anche dallo scarso successo di quel tentativo, non sembra un’ipotesi peregrina. In ogni caso, non si può affermare con certezza che i tempi siano cambiati.
La piattaforma unitaria, infatti, non sembra tenere in debita considerazione le difficoltà del settore che neppure i sindacati negano, ma che frettolosamente liquidano come “i soliti piagnistei”. E’ in questa prospettiva che occorrerà valutare il vero significato della ritrovata unità sindacale nei metalmeccanici.
I contenuti della piattaforma sindacale lasciano, infatti, perplessi. Non solo per la quantità delle cifre richieste, ma anche per la loro qualità. I sindacati, infatti, chiedono un aumento aggiuntivo per i lavoratori delle imprese nelle quali non si è svolta, negli scorsi anni, la contrattazione aziendale, quella cioè che, in base all’accordo tra Confindustria, sindacati e governo del luglio 1993, venne prevista per i casi in cui si siano registrati, nelle imprese, incrementi dei parametri di produttività, redditività, qualità, ecc. L’idea di fondo era - ed è ancora, perché quell’accordo è sempre in vigore - che, fatti salvi i livelli retributivi previsti dal contratto collettivo, eventuali altri aumenti si giustifichino laddove l’impresa abbia conseguito, grazie al maggior impegno dei suoi collaboratori, dei risultati economici dei quali far partecipi i lavoratori stessi. Come dire: se si produce ricchezza, questa può essere distribuita, altrimenti no.
La piattaforma rivendicativa va oltre quell’intesa perché si propone di estendere surrettiziamente, attraverso il contratto collettivo nazionale, una sorta di obbligatorietà della contrattazione aziendale. Si tratta certamente di una forzatura che suscita preoccupazioni, intanto perché inserisce nella trattativa un ostacolo di tutto rispetto, ma soprattutto perché non sembra tenere in gran conto la realtà delle imprese. Forse tutti quei mesi trascorsi a definire le regole interne alle tre organizzazioni, le regole della democrazia sindacale, le regole che dovrebbero evitare la firma di un contratto collettivo solo da parte di alcuni sindacati, hanno distolto l’attenzione dallo stato di difficoltà delle imprese.
Questo è senza dubbio il peggior pericolo che le relazioni industriali possano correre. Che si finisca per discutere ognuno con la propria rappresentazione ideale, piuttosto che tutti con la realtà. Federmeccanica, in questi mesi, ha chiesto ai sindacati di discutere di flessibilità degli orari ma nessuna risposta significativa è giunta. In questo atteggiamento i metalmeccanici sono in buona compagnia.
In occasione del recente rinnovo di altri contratti di lavoro, ad esempio quello del sistema bancario, i sindacati hanno premuto - e ottenuto - perché, per via contrattuale, si riducesse l’impatto delle novità introdotte, in materia di flessibilità del lavoro, con la cosiddetta legge Biagi. L’Associazione Bancaria Italiana, rispondendo alle critiche del Ministro del lavoro Roberto Maroni, ha fatto presente che il mancato recepimento nel contratto collettivo di alcune disposizioni della legge è dipeso dalla circostanza che la stessa legge non è ancora del tutto applicabile, in quanto mancano alcune disposizioni di attuazione demandate alle regioni. In effetti, quello dell’eccessivo rinvio a disposizioni applicative, è sembrato subito un elemento di debolezza della “Biagi”. Rimane il fatto che, in una parte almeno del sindacato, permangono delle pregiudiziali verso le novità introdotte da una legge che altro non ha fatto che allineare il nostro sistema legislativo in materia di lavoro a quello riscontrabil
e negli altri paesi più industrializzati, contribuendo così a mettere le nostre imprese in condizioni, anche per questa via, di competere ad armi pari con la concorrenza.
Da alcuni di questi paesi arrivano segnali che indicano come ci siano altri spazi per accrescere la flessibilità. In Germania, ad esempio, in alcune aziende le maestranze hanno accettato il principio di compensare, all’interno di un monte ore periodico, i momenti in cui lavorare di più o di meno, secondo le necessità della produzione (l’andamento degli ordinativi). E’ il segnale di una consapevolezza che la competitività dell’impresa va rafforzata per consentirle di restare sul mercato. E di conservare così l’occupazione.

02/25/2005

Editoriale
Focus
Economia
Inchieste
L'opinione
Territorio

Politica
Vita associativa
Formazione
Case History
Università
Storia dell'industria
Natura
Arte
Cultura
Costume
Musei
In libreria
Abbonamenti
Pubblicità
Numeri precedenti

 
Inizio pagina  
   
Copyright Varesefocus
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
another website made in univa