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Ferrotranvieri, scioperi atipici

Le agitazioni sindacali dei lavoratori del trasporto ricordano tempi di un passato che si credeva lontano. Un settore in controtendenza, rispetto ad altri nei quali i contratti di lavoro si rinnovano senza scioperi.

La conflittualità esplosa nelle ultime settimane nel trasporto pubblico locale sembra andare al di là di una vertenza di categoria. Lo dimostrano sia i metodi, non nuovi comunque nei servizi pubblici dove maggiori sono la capacità di ricatto sindacale, sia l’incapacità di indirizzare le relazioni industriali lungo un binario di corretta contrapposizione. Ma sullo sfondo non si può nascondere un più generale malessere legato alla percezione che i salari sono in affanno rispetto a una corsa dei prezzi senza freni.
In un quadro di grande incertezza, la vicenda degli autoferrotranvieri impone alcune considerazioni a partire, proprio, dalla questione di un giusto equilibrio tra i diritti dei lavoratori a protestare e i diritti degli utenti. La legge sulla disciplina degli scioperi nei servizi pubblici - sotto la spinta di un’altra stagione di conflitti - ha subito solo pochi anni fa alcune modifiche alle norme del 1990: il legislatore nel 2000 ha dato una stretta alle proteste che possano bloccare nello stesso tempo vari tipi di servizi (ferroviario e aereo, per esempio) e ha imposto alle parti di allargare la fascia di servizi garantiti in caso di blackout. L’esperienza degli anni successivi ha evidenziato che, nonostante le restrizioni, la normativa è ancora deficitaria almeno sotto due aspetti: quello delle sanzioni e quello della facilità con cui anche microsigle sindacali possono provocare pesanti disagi all’utenza. Sul versante delle sanzioni, per non aver rispettato le regole, troppe volte è finito tutto a “tarallucci e vino”, come si usa dire, perchè le stesse aziende pubbliche - pur di evitare ulteriori scontri con il sindacato - sono state rinunciatarie. Altrettanto complessa è la questione della rappresentanza in quanto i servizi pubblici (e i trasporti in particolare) soffrono di una cronica frammentazione di sigle, molte delle quali sono veri e propri sindacati di mestiere, poco disponibili a rispettare regole e compatibilità. Da più parti è stato invocato il ricorso al referendum prima di uno sciopero, sull’esempio di quanto già accade in Germania, per valutare l’effettivo consenso tra i lavoratori. Ma c’è un altro problema irrisolto e riguarda i poteri della Commissione di Garanzia, finora troppo timida e impacciata nell’esercizio di funzioni più notarili che decisionali.
Ci sono quindi i margini per migliorare l’attuale normativa e ridurre le occasioni di scioperi selvaggi.
Resta il fatto che settimane di conflittualità esasperata nei trasporti non possono non suscitare forti preoccupazioni proprio in coincidenza con segnali più consistenti di ripresa economica. Situazioni quasi ottocentesche di protesta sono state finora limitate ai servizi pubblici riproponendo episodi già visti nel recente passato: d’altra parte la vertenza degli autoferrotranvieri è il segnale di liberalizzazioni arrivate solo a metà, con il risultato che le società sono vincolate ai trasferimenti di risorse dal centro e non possono muoversi come una qualsiasi azienda privata. Una situazione ibrida che finisce, in maniera inevitabile, per condizionare relazioni sindacali ancora piuttosto confuse e di vecchio stampo.
Il settore privato è rimasto estraneo a logiche analoghe a quelle praticate dagli autoferrotranvieri. Negli ultimi mesi sono stati conclusi molti contratti (dagli alimentaristi ai chimici) senza scioperi e senza conflitti. Inoltre il sindacato confederale - pur diviso su altri fronti - ha mantenuto una linea unitaria.
Da più parti si è sottolineato che la vertenza-tranvieri ha sbattuto in prima pagina il tema dei salari e quindi ci si interroga sui rischi di un effetto domino che possa travolgere anche altre categorie. I rinnovi anche in corso del settore privato fortunatamente smentiscono questa possibilità legata anche alla tenuta delle organizzazioni confederali, orientate a difendere una visione generale piuttosto che singoli interessi di categoria e di mestiere. Ma appare evidente l’urgenza di rilanciare la politica dei redditi aggiornando i criteri e i parametri sui quali è stata costruita oltre dieci anni fa. Un’intesa, quella del ’93, che ha dato “buoni” risultati per i salari, come ha evidenziato di recente un’analisi del Sole 24 Ore: le buste paga non solo sono state protette dall’inflazione ma hanno incassato anche gli aumenti di produttività. E non va trascurato l’incremento senza precedenti dell’occupazione. È inevitabile una revisione di quel modello perchè la situazione economica - interna e internazionale - è cambiata, ma non va perso quello spirito che ha permesso di mettere intorno a un tavolo senza pregiudiziali Governo, imprese e sindacati soprattutto nei momenti di emergenza.

Sciopero nei servizi pubblici:
per Maroni la legge non va riformata ma fatta funzionare

Gli ultimi scioperi "selvaggi" dei lavoratori del trasporto pubblico hanno violato la legge 146 del 1990 che ne regolamenta l'esercizio nei servizi pubblici essenziali, a tutela dei cittadini-utenti: c'è stata, infatti, violazione del periodo di tregua natalizia, del preavviso di dieci giorni e di distanza minima da altre agitazioni.
E' scattata così la precettazione dei lavoratori da parte dei prefetti e le reazioni del primo momento, da parte del governo, sono state improntate a fermezza. Il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ha diramato alle prefetture una circolare per far reiterare, in caso di necessità, la precettazione e per invitare a denunciare alla magistratura ogni violazione della legge. Il lavoratore che non osserva la precettazione può essere sospeso dal servizio senza retribuzione, ma potrebbe configurarsi anche il reato di interruzione di pubblico servizio, punito con la reclusione fino ad un anno (fino a cinque anni per i promotori e organizzatori). Il sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi ha sollecitato le aziende di trasporto ad applicare le sanzioni ai lavoratori ricordando che la legge prevede, a carico dei dirigenti inadempienti, la multa da 206 a 516 euro. Il ministro del Welfare Roberto Maroni ha dichiarato che la legge sugli scioperi sta ampiamente dimostrando di non funzionare e, pur considerando prematuro un intervento legislativo, ha evidenziato la necessità di verificare l'efficacia delle sanzioni previste dalla legge. Insomma, anche di fronte all'"altolà" immediato dei sindacati, è prevalsa l'opinione che le regole esistenti vadano applicate, prima ancora che cambiate.

01/15/2004

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